Secondo il ministro dell’interno di Kiev, i morti tra i filorussi nella battaglia di Sloviansk ad oggi sarebbero più di trenta; un bollettino che aumenta le stime date dai separatisti e che conferma il carattere del conflitto civile in corso e senza, attualmente, una prospettiva di pace concreta. Gli attacchi dell’esercito ucraino proseguono, nelle regioni orientali è emergenza, mentre la conta dei morti aumenta di ora in ora.

Ieri è stata una giornata vissuta sul filo della tensione diplomatica. Mosca ha annunciato di rinforzare la propria flotta sul mar Nero, per precauzione contro ogni evenienza, ma appare chiaro che le attenzioni sono rivolte a Odessa, dove la tensione dopo il rogo nel palazzo dei sindacati non è scemata, anzi.

Kiev dal canto suo ha chiesto aiuto internazionale per garantire lo svolgimento delle elezioni presidenziali del 25 maggio, che hanno assunto un’importanza fondamentale. Il governo autoproclamato di Majdan, l’Europa e gli Stati uniti spingono perché si svolgano, Mosca mette in evidenza i rischi di un confronto elettorale in pieno clima di guerra civile. Ci sono poi eventi che potrebbero finire per infiammare ancora di più, se possibile, gli animi.

A Odessa, città ferita dalla morte di oltre 40 persone venerdì scorso, il 9 maggio non si svolgerà la tradizionale parata per celebrare la vittoria contro il nazismo. Un evento molto sentito dai filorussi e che diventa naturalmente un nuovo episodio di tensione. L’annullamento è stato deciso proprio per evitare il rischio di incidenti, ma è sicuro che i filorussi non si rassegneranno. Sul fronte internazionale invece torna con insistenza a fare capolino l’idea di una nuova Ginevra, il cui rispetto è stato chiesto a entrambe le parti anche dal governo italiano, ma Mosca è ferma su un punto preciso: o partecipano i separatisti delle regioni orientali, o niente incontro.

Del resto il naufragio del primo accordo, conferma la necessità di avere tutte le parti al tavolo, anche se si tratterebbe, per il governo di Kiev, di un riconoscimento de facto della controparte separatista.

L’attenzione, in ogni caso, si sposta sui movimenti russi e della Nato. Il vero confronto nella crisi ucraina è questo: il timore russo di un’espansione a est della Nato, con l’Alleanza che pare non agire in modo da scongiurare i pericoli temuti dal Cremlino. Oggi Rasmussen arriva in Polonia (dove sono state rafforzate le forze Nato con 4 caccia Rafal francesi e 12 F16 statunitensi), uno dei paesi che dall’inizio chiede un comportamento fermo in funzione anti Mosca.

La difesa dei paesi alleati «è il primo compito» della Nato e per questo è stato deciso il rafforzamento delle difese nei paesi della frontiera orientale. È quanto ha detto il segretario generale, Anders Fogh Rasmussen, affermando che è «già aumentata» la presenza nel Mar Nero e che presto lo sarà anche nel Baltico. «Vedrete più aerei e più navi – ha aggiunto – e non esisteremo a compiere ulteriori passi se necessario». La Russia dal canto suo, ha annunciato che intende rafforzare la Flotta del Mar Nero dispiegata in Crimea.

Lo ha annunciato ieri il ministro della Difesa Sergei Shoigu, precisando che «quest’anno la flotta del Mar Nero riceverà nuovi sottomarini e navi da guerra dei modelli più moderni». Inoltre, verrà rafforzata anche la sorveglianza costiera e da qui al 2020 la flotta riceverà un miliardo e 750 milioni di euro. Shoigu ha poi aggiunto che venerdì la flotta ricorderà la vittoria contro la Germania nazista, durante la Seconda Guerra Mondiale, con una parata di navi nel porto della città di Sebastopoli. Ieri però è stata anche la giornata di Lavrov, il ministro degli esteri russo al Consiglio d’Europa.

Lavrov ha tentato di ricordare la linea del Cremlino, ovvero la necessità di includere i movimenti filo russi del sud est dell’Ucraina in negoziati per la soluzione della crisi, sottolineando che l’Occidente non è ancora pronto ad accettare tale sviluppo. A Vienna per il Consiglio d’Europa, e incontrare il presidente di turno dell’Osce Didier Burkhalter, Lavrov ha quindi sollecitato il ritiro della Guardia nazionale e dell’esercito ucraini impiegati a Odessa e nel Donbass come primo passo per una de escalation della crisi, aggiungendo che l’Ucraina non è l’Afghanistan e che le elezioni non potranno tenersi mentre i militari vengono usati in operazioni contro i civili.

Da segnalare infine la presa di posizione del presidente della Duma russa Serghiei Narishkin, secondo il quale in Ucraina sarebbe in atto «un genocidio del popolo russo e ucraino» per colpa delle autorità di Kiev.