Il Mes non finisce mai di stupirci. Eravamo partiti, ad aprile, con l’Eurogruppo su una «linea speciale di credito per spese sanitarie dirette o indirette, cura e costi della prevenzione collegata al Covid-19». Non ci voleva molto per capire che quei soldi non potevano che valere per spese future.

Non a caso il ministro della Salute Speranza aveva nelle settimane successive parlato di un «piano» per la sanità che doveva «poggiare» anche sul Mes. Già a luglio, tuttavia, aveva fatto capolino una diversa interpretazione delle clausole di utilizzo di queste risorse: non più nuove spese, ma ricostituzione della cassa statale nel frattempo assottigliatasi per via di minori incassi e di maggiori spese. Ne aveva parlato il Sole 24 Ore, riferendo di una preoccupazione espressa dal ministro Gualtieri sulla solidità delle casse statali in una riunione con i capidelegazione della maggioranza, poi però dallo stesso smentita.

Sembrava una partita chiusa, invece il tema della cassa è di nuovo tornato. Non per giustificare l’accesso al Fondo, come sembrava in un primo momento, ma per perorare la causa opposta. Siccome le risorse del Mes «sono state previste per i Paesi in deficit di liquidità», noi non siamo in queste condizioni e possiamo farne a meno, ha detto grosso modo Gualtieri. In sostanza, la grande occasione «per fare gli ospedali, per assumere i medici e gli infermieri e comprare le medicine» – soldi aggiuntivi a buon mercato, come sostengono i pro-Mes – è stata ridotta ad una banale alternativa ai normali canali utilizzati dallo Stato per coprire annualmente il suo fabbisogno di cassa.

Posta la questione in questi termini, ha ragione da vendere Conte quando parla di «stigma»: un accesso al Mes per far fronte a problemi di cassa susciterebbe immediatamente l’allarme dei mercati, che a quel punto potrebbero diventare più esigenti nell’acquisto del nostro debito, fino ad annullare il risparmio ottenuto sul servizio del debito. Ma il problema, come ha di nuovo ribadito Gualtieri, non si pone, dato che sul «Conto Disponibilità del Tesoro» abbiamo più di 80 miliardi, quindi nessun deficit di liquidità.

Ma le cose stanno esattamente così? Davvero i soldi del Mes possono essere usati solo per «spese già fatte», per coprire in via sostitutiva il fabbisogno statale o far fronte a crisi di liquidità? Non pare proprio. Se fosse così, la nuova linea di credito pandemica non sarebbe tanto diversa da quelle ordinarie («precauzionale» o «soggetta a condizioni rafforzate»), previste, per l’appunto, per «fronteggiare crisi di liquidità o di solvibilità degli Stati». Non solo. Proprio la specifica destinazione di queste risorse per la sanità esclude, in linea di principio, che le stesse possano essere usate per coprire un indistinto fabbisogno di cassa.

Delle due l’una: o siamo di fronte al vecchio Mes, che dà i soldi ai paesi falliti o sull’orlo del fallimento, senza soldi in cassa che non possono onorare i debiti, oppure stiamo parlando di una linea di credito nuova, che, come gli altri strumenti a debito messi in campo dall’Unione (Next Generation Ue, Sure), serve a finanziare spese future per gestire l’emergenza sanitaria.

Quindi l’accesso al Mes è auspicabile? No, perché nelle condizioni date, con i tassi di interesse così bassi e la politica monetaria della Bce mai così accomodante, conviene finanziare l’extradeficit, quindi anche le spese sanitarie, con le nostre obbligazioni, che noi stessi finiremmo per riacquistare attraverso Bankitalia nell’ambito del piano d’acquisti della Bce, recuperando anche il differenziale di tasso di interesse col Mes grazie alla retrocessione da parte di Eurotower di una quota del «reddito monetario» generato dai nostri stessi titoli.

A Lisbona ed a Madrid l’hanno capito bene questo concetto. D’altro canto, al di là delle parole dei commissari europei, cosa è cambiato formalmente nella legislazione europea a proposito degli obblighi del debitore e della «sorveglianza rafforzata» cui lo stesso verrebbe ad essere assoggettato nel caso di ricorso al Fondo Salva Stati?

A ben vedere, anche sul Mes si sta giocando una brutta partita politica interna, senza alcun riguardo agli interessi veri del Paese. E al dovere di dire tutta la verità.