«Dopo che li abbiamo sradicati e costretti – pensiamo davvero di alzare il ponte levatoio delle nostre città e chiudere le porte? Oppure costruire nuovi ghetti, o recinzioni speciali? Per quanti di loro? E soprattutto per quanto tempo? Perciò la strada del razzismo, dei ghetti, e anche quella dei «numeri chiusi» non solo è immorale e assurda, ma alla fine è impraticabile».

Così scriveva Pietro Ingrao, a proposito del «razzismo diffuso» nel nostro Paese, in un articolo che invito a rileggere su L’Unità. (https://archivio.unita.news/assets/…/1989/10/06/. Anche il titolo di quell’articolo, in cui Ingrao spiegava perché il razzismo non solo «immorale» ma anche «impraticabile», è di grande attualità: «Cari bianchi: gli invasori siamo noi».

Era il 6 ottobre 1989. L’indomani, 7 ottobre, scendeva in piazza per la prima volta, dopo l’omicidio di Jerry Essan Masslo, rifugiato sudafricano ucciso a Villa Literno il 25 agosto dello stesso anno, il movimento antirazzista italiano. Più di 300 mila persone.
Associazioni come l’Arci e Neroenonsolo, sindacati, in primo luogo la Cgil di Bruno Trentin, il mondo cattolico impegnato nel sociale, come la Caritas di don Luigi Di Liegro e tanti, tantissimi giovani e migliaia di stranieri, che per la prima volta provavano a dar voce ad una parte della nostra società ancora poco numerosa e pochissimo visibile.

Dopo qualche settimana sarebbe stata approvata la prima vera legge sull’immigrazione, conosciuta come legge Martelli, e la regolarizzazione collegata a quel provvedimento (era già la seconda regolarizzazione, alla quale ne sarebbero seguite tante altre).

Per i diritti degli stranieri e la lotta contro il razzismo quella grande mobilitazione fu una prova straordinaria: l’Italia antirazzista c’era ed era forte e sarebbe stata in grado, questo pensavamo allora, di ricacciare indietro nella storia l’incubo che aveva caratterizzato la parte tragica del novecento, con le leggi razziali del 1938, la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, dei rom e delle altre minoranze, oltre che degli oppositori politici.

Dopo 30 anni, quell’analisi lucida di Ingrao, le preoccupazioni che esprime, sembrano essersi materializzate come nel peggiore degli incubi.
Il razzismo che fino agli anni novanta era un fenomeno circoscritto (se non consideriamo l’estrema destra, da sempre razzista, ma anche isolata), piano piano ha iniziato a essere utilizzato per raccogliere consenso, per costruire carriere politiche, come arma nella contesa elettorale. Un’arma che, dopo essersi fatta strada nella cultura italiana senza grandi resistenze, se non quelle del movimento antirazzista, si è conquistata uno spazio sempre più ampio e ostentato. In Italia, dall’avvento della Lega nord, xenofobia e intolleranza sono cresciute, mentre si indebolivano il ruolo e la capacità di mobilitazione dell’antirazzismo. Nonostante l’aumento nel primo decennio di questo secolo del numero delle persone d’origine straniera presenti in Italia, anche il ruolo sociale e la visibilità degli stranieri ha registrato un forte indebolimento.

L’assenza di un soggetto politico che facesse invece un significativo investimento sui diritti, in grado di competere sul terreno culturale, ha spalancato le porte ai predicatori d’odio. Così è stato possibile che il razzismo politico, alimentato da un partito che fino a poco tempo fa aveva un seguito solo in alcune aree del nord, oggi sia diventato strumento principale di conquista del consenso e che sia entrato nelle istituzioni a tutti i livelli.

Quello spazio si può ridurre solo se le organizzazioni sociali, i sindacati, il mondo religioso, i movimenti saranno in grado di costruire le condizioni per un protagonismo delle persone di origine straniera, a partire dai giovani.

Come diceva Pietro Ingrao trenta anni fa, è necessario mobilitarsi per tutelare i diritti degli stranieri, che riguardano la nostra democrazia e ciascuno di noi ed è indispensabile farlo con urgenza oggi.