Isabelle Stengers non ha dubbi: «La mancata articolazione tra i ‘rossi’ e i ‘verdi’ è stata «uno dei fallimenti politici più tristi degli ultimi decenni». Intorno a questo fallimento e verso la ricerca di una nuova alleanza ruota il saggio di Michael Löwy, Ecosocialismo. Una alternativa radicale alla catastrofe capitalista (traduzione di Gianfranco Morosato, ombre corte, pp. 156, euro 14). Saggio preciso e affilato non solo nel momento in cui descrive i segni della crisi ecologica in atto, ma anche, e soprattutto, quando ne mette in evidenza le cause e, di conseguenza, si impegna nella ricerca politica di una via d’uscita.

I segni della crisi sono noti così come il rischio tutt’altro che fantascientifico che possano instaurarsi devastanti meccanismi di feedback positivo (dovuti, per esempio, al fenomeno albedo o allo scioglimento del permafrost) in grado di accelerare l’incedere della catastrofe.

MENO CONDIVISA è invece la presa d’atto che il responsabile del disastro ambientale non sia un qualche fantomatico Anthropos quanto piuttosto il capitalismo – in tutta la sua violenta materialità -, la cui impresa, fondata su accumulazione, crescita e consumo illimitati, sta compromettendo «le precondizioni della vita stessa sul pianeta», reificando tutto in poltiglia nera.

È a partire da qui che Löwy disegna il suo progetto ecosocialista che non esita a definire «la grande sfida per un rinnovamento del pensiero marxista alle soglie del XXI secolo».

UN PROGETTO che intende far dialogare i «verdi», che non sembrano comprendere appieno l’importanza della «critica marxiana dell’economia politica», e i «rossi» che non paiono aver colto fino in fondo che il capitalismo non si nutre solo della sua prima contraddizione – quella individuata da Marx tra forze produttive e rapporti di produzione – ma anche di quella che O’Connor ha chiamato, e che Löwy fa propria, la sua seconda contraddizione, ossia quella «tra le forze produttive e le condizioni di produzione», tanto da aver trasformato le forze produttive in forze distruttive. Pertanto, la convergenza tra «rossi» e «verdi» «è possibile solo a condizione che i marxisti sottopongano a un’analisi critica la loro concezione tradizionale delle ‘forze produttive’ e che gli ecologisti rompano con l’illusione di una ‘economia di mercato’ pulita».

LA SINTESI tra la consapevolezza dei pericoli che minacciano il pianeta e la critica sistemica dell’estrattivismo capitalista è, per Löwy, un «comunismo solare» capace di smarcarsi al contempo dall’«oligarchia fossile», dalle «misure cosmetiche» dei summit internazionali, dal miraggio di poter «‘ecologizzare’ il capitalismo» e dal vagheggiamento di improbabili soluzioni tecnologiche. In questo senso, l’ecosocialismo è rivoluzionario, in quanto «mira non solo a una nuova società. A un nuovo modo di produzione, ma anche a un nuovo paradigma di civiltà»: peccato che Löwy non trovi posto in questo nuovo paradigma per una presa di congedo dall’antropocentrismo e per una rinnovata alleanza con i non umani.

LÖWY NON SI FERMA agli enunciati di principio e fissa i punti necessari per la realizzazione del suo progetto: subordinazione del «valore di scambio al valore d’uso», «proprietà collettiva dei mezzi di produzione» e «pianificazione democratica» basata sui bisogni sociali autentici e sulla sostenibilità ecologica. Giungendo in tal modo a tratteggiare un’ecopolitica del conflitto che, data l’urgenza, deve iniziare qui e ora e che non deve disdegnare «le vittorie parziali», in quanto «utili di per sé» e in quanto «contribuiscono a una presa di coscienza» collettiva.

DI FRONTE ALL’AUT AUT socialismo o barbarie, Löwy prende posizione intrecciando Benjamin, perché la rivoluzione è un freno di emergenza, Jonas e Bloch, perché «senza il ‘principio responsabilità’, l’utopia non può che essere distruttiva, e senza il ‘principio speranza’, la responsabilità non è che un’illusione conformista» e Brecht, perché «chi lotta può perdere», ma «chi non lotta ha già perso».