Giovani, malpagate, con una carriera breve e prive dei più elementari diritti, a volte oggetto di discriminazioni e abusi sessuali da parte degli allenatori e dei dirigenti delle squadre nelle quali giocano. E’ il quadro che emerge dal rapporto sul calcio femminile professionistico, pubblicato per la prima volta dal sindacato mondiale dei calciatori (Fifpro), un’indagine condotta dall’Università di Manchester che ha raccolto su scala mondiale le risposte di 3.500 calciatrici, che giocano a livello professionistico in 33 paesi, compresi i campionati nazionali dove il calcio femminile è più diffuso, come l’Inghilterra, la Francia, la Germania, la Svezia e gli Stati Uniti. Il rapporto riguarda vari ambiti come la retribuzione mensile, il montepremi, l’istruzione, l’assistenza all’infanzia, la discriminazione.

POCHI GUADAGNI

Le donne che praticano calcio a livello internazionale, sono molto giovani e istruite, la gran parte ha un’età tra i 18 e i 24 anni, l’entusiasmo non manca, a dispetto dei pregiudizi che vorrebbero il calcio riservato al mondo maschile, e ben l’84% porta a termine le scuole superiori. La carriera delle calciatrici professioniste per la quasi totalità, circa il 90%, è molto breve, perché per ragioni economiche, vista la bassa retribuzione annuale percepita, sono costrette a lasciare, spesso all’origine dell’abbandono vi sono offerte economiche più vantaggiose provenienti da altri ambiti lavorativi, oppure perché mettono su famiglia. In media una calciatrice guadagna 7 mila e 200 dollari all’anno, circa mille euro al mese con punte di alcune nei campionati più seguiti, che percepiscono circa 50 mila dollari all’anno, e pochissime, le Messi femminili, sono le calciatrici che arrivano fino a 100 mila dollari all’anno, ma sono casi rari.

CALCIO RETRIVO

La durata media di un contratto è di un anno, la gran parte non supera i due anni, un tempo breve rispetto alla durata dei contratti di cui godono i calciatori professionisti: “ Le possibilità di carriera per le donne oggi stanno diventando un’opzione praticabile. Il fatto che questa opportunità sia arrivata così tardi è inaccettabile, mostra come il calcio sia piuttosto indietro rispetto ad altri settori della società quando si parla di parità di genere. La linea di fondo che dobbiamo seguire è preparare la strada a posti di lavoro dignitosi e sicuri per le donne calciatrici professioniste ” afferma la svedese Caroline Jonsonn, presidente del Comitato calcio femminile dell’Associazione mondiale dei calciatori.

RIDONO DI NOI

Una linea, quella del sindacato mondiale calciatori, che ha fatto breccia anche tra le giovani calciatrici, consapevoli della disparità dei diritti rispetto al calcio professionistico maschile: “È importante continuare a dare slancio allo sport e a spingere il calcio femminile per offrire maggiori opportunità alla generazione che verrà dopo di noi” dice la calciatrice americana Alex Morgan. Scarsa anche la considerazione sociale di cui godono le donne dedite al calcio di èlite, spesso sono oggetto di gratuita ironia da parte degli uomini, come afferma Shea Groom che gioca nell’ Utah Royals Fc, squadra del New Jersey: “Ci sono ancora discriminazione nel calcio femminile, se dici che giochi a calcio a livello professionale alcune persone ridono, pensano che tu non guadagni soldi, che non sia una cosa reale per una donna giocare a calcio come professione”.

LE MOLESTIE SESSUALI

Un ambito che emerso con forza è quello delle discriminazioni e degli abusi sessuali di cui sono oggetto le donne calciatrici, in particolare quelle che giocano nei campionati minori semi professioniste e dilettanti. Le violenze fisiche che subiscono le donne da parte dei tifosi non sono dissimili da quelle dei calciatori, i maltrattamenti violenti riguardano le donne nell’ordine dell’11.8%, mentre i calciatori il 15.8%. Nell’indagine condotta dall’Università di Manchester oltre un centinaio di calciatrici professioniste hanno dichiarato di aver subito abusi sessuali, 40 delle quali dai propri allenatori e 22 dai dirigenti della squadra in cui giocano. Esemplare il caso di Mark Simpson, allenatore della nazionale femminile di calcio dell’Inghilterra, che il 20 settembre del 2017 è stato licenziato in tronco dalla Football Association per le evidenti prove di molestie sessuali emerse a suo carico quando allenava la Bristol Academy , settore giovanile della nazionale maggiore femminile, che annovera calciatrici dai 16 ai 19 anni. Fu denunciato già nel 2016 da Eniola Aluko, ex attaccante del Chelsea Ladies Football Club e della nazionale inglese, ma allora le prove a carico di Mark Simpson risultarono insufficienti e fu scagionato.

QUATTRO LESBICHE

Per quanto riguarda le discriminazioni razziali e gli abusi sessuali, soprattutto nelle serie minori, lo sport è uno dei settori meno vigilati dalle istituzioni, i vertici dello sport nazionale tendono a minimizzare, e quelli del calcio in particolare sono tra i più retrivi e maschilisti d’Europa. Note le frasi di Felice Belloli il presidente della Lega Dilettanti e braccio destro del neodimissionario presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio, che nella riunione del 5 marzo 2015 del dipartimento del calcio femminile, settore che fa parte proprio della Lega Dilettanti, affermò: ” Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche”. A seguito di quelle affermazioni, che tra l’indignazione generale delle istituzioni sportive internazionali fecero il giro del mondo, Felice Belloli fu costretto a rassegnare le dimissioni, dopo appena sei mesi dalla sua nomina.

I dirigenti dello sport nazionale, avvezzi alla chiacchiera da bar sport, godono di una sorta di immunità sul fronte delle discriminazioni, intrisi come sono di una cultura omofoba e machista, stentano a denunciare certi episodi che potrebbero inquinare l’immagine edulcorata di quel mondo del calcio milionario e in parte sessista, che in Italia loro rappresentano molto bene.