«Nessuna vittoriosa rivolta popolare, è stata spoliticizzata, decontestualizzata, sminuita e persino negata, come le Quattro Giornate di Napoli.» Sono le prime righe di un bel libro ampiamente documentato di Giuseppe Aragno sulla rivolta della città contro tedeschi e fascisti nel Settembre 1943: Le quattro giornate di Napoli, ed. Intra Moenia, 2017.

Il 30 Settembre l’esercito tedesco abbandona sconfitto la città. Gli alleati, fermi a Salerno già da diversi giorni, entrarono nella città ormai liberata il primo Ottobre. Negli scontri morirono più di trecento napoletani. L’insurrezione era cominciata con l’annuncio dell’armistizio, l’8 Settembre.

Sui giornali o alla televisione, difficilmente si trova un accenno a questo episodio della liberazione di Napoli e alle sue quattro giornate, né a settembre né alla ricorrenza della liberazione, il 25 Aprile. Eppure Napoli è stata la prima città europea che si è liberata da sola dai nazi-fascisti, la prima città medaglia d’oro della Resistenza.
Ci siamo inventati tutto? Qualcuno ha addirittura scritto che le quattro giornate e l’insurrezione popolare non sono mai avvenute: soltanto una messinscena …oggi si direbbe una fake news.(Enzo Erra. Napoli 1943: Le Quattro Giornate che non ci furono Longanesi1993).

Invece ho sempre chiari nella memoria i racconti di Carlo Fermariello poi divenuto senatore comunista, di Antonio Ghirelli; degli scontri sulle scale del Petraio e dell’uccisione di un parente nelle sparatorie degli studenti del liceo Sannazzaro al Vomero. Venti giorni di lotta, le cause che li avevano determinati e il peso che ebbero sulle vicende successive, sono stati ridotti a un dato marginale, a un evento isolato.

La storia – è stato detto- presuppone due requisiti che le Quattro giornate di Napoli sembrano non avere: un senso logico nello svolgersi dei fatti e la partecipazione consapevole della società umana.
Eppure le testimonianze della lotta di liberazione della città non mancano.

Molte se ne trovano anche in un appassionato libro di parecchi anni fa di Aldo De Jaco (Le quattro giornate di Napoli, Editori Riuniti 1956).
Gli studi degli ultimi anni hanno mostrato il nesso tra la rivolta e il lavoro clandestino degli antifascisti, e l’impulso che la sommossa dette poi alla guerra di liberazione.

Quando si parla di un Meridione in eterno ritardo sulle vicende nazionali e si riducono le Quattro Giornate a una lotta di «lazzari» e si parla di «teppaglia» si cade purtroppo nel più trito e banale dei luoghi comuni. Anche l’uso del linguaggio indica pregiudizi, minimizzazioni e manipolazioni (vedi Giorgio Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Laterza 1971).

Il primo equivoco è quello che a combattere furono soprattutto dei ragazzini, gli «scugnizzi». Forse il tutto nacque da alcune foto pubblicate su Life nel novembre 1943 e attribuite a Robert Capa in cui si vedono undici, dodicenni con fucili ed elmetti. Oggi si è scoperto che in realtà Capa non aveva scattate quelle foto: le aveva acquistate da un partigiano comunista, Alessandro Aurisicchio De Val.

Le foto sono dunque sicuramente vere ma la maggior parte dei combattenti erano soldati, marinai, studenti universitari e talvolta liceali, operai, contadini, intellettuali. Anche molte donne, di tutte le età, che proteggevano e aiutavano figli e mariti. Alcuni combattenti appartenevano a diverse formazioni politiche, ma tutti erano anti fascisti, stanchi della guerra e dell’oppressione tedesca. Fin dal giorno dell’armistizio, l’8 settembre, le truppe tedesche saccheggiano magazzini e depositi in cerca soprattutto di viveri e arrestano e uccidono chiunque desti sospetti. La città è sotto assedio, devastata dalla guerra. Principale porto d’imbarco per le truppe e i materiali destinati ai fronti africani, Napoli era stata sottoposta, tra 1940 e 1943, a decine e decine di bombardamenti, ridotta in macerie e alla fame. La gente viveva per lo più nei ricoveri.

Il 12 Settembre viene incendiata l’ Università, e distrutta la sua biblioteca «della Società Reale» come riferisce una bella testimonianza di Mariussa Bakunin, figlia dell’anarchico russo e direttrice dell’Istituto di chimica.
Nello stesso giorno, domenica 12 settembre 1943, il colonnello tedesco Scholl fa pubblicare dal quotidiano Roma il suo primo proclama: «Le forze germaniche hanno assunto il comando assoluto della città di Napoli. Chiunque agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche verrà passato per le armi…ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte…».

Viene ordinato il coprifuoco, c’è lo stato d’assedio…
«Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di ufficiali e soldati germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri, furono vilmente assassinati o gravemente feriti…».

Ci sono saccheggi sistematici da parte dei tedeschi e vengono distrutti stabilimenti industriali come l’Ilva di Bagnoli. Poi banche, edifici pubblici. Gran parte della città viene sgomberata, in particolare la fascia lungo il mare: più di 35 mila famiglie sono costrette a lasciare le proprie case. Viene emanato un ordine di servizio obbligatorio di lavoro per i giovani delle classi dal ’25 al ’29…

La lotta contro i tedeschi incomincia in tutta la città. Scontri e sparatorie da piazza Borsa al Vasto fino al Museo, passaggio obbligato sia verso Capodimonte che verso il Vomero; da via Salvator Rosa a piazza Mazzini…
I tedeschi iniziano i rastrellamenti e la gente reagisce. Ci sono scontri dappertutto. Ci si comincia a organizzare.
Lo studente e il calzolaio, il militare e il disoccupato, l’operaio e la lavandaia e spesso anche i loro genitori… contro i tedeschi e i fascisti .

Si combatte dovunque al Vomero. I partigiani attaccano le postazioni tedesche alla Villa Floridiana e si impossessano di una mitragliatrice.
Gli studenti del liceo Sannazzaro, coordinati dal prof. Antonino Tarsia in Curia combattono a piazza Vanvitelli insieme agli universitari. Alcuni sono uccisi, come Adolfo Pansini.
Nel pomeriggio del 28 ci sono violenti combattimenti in ogni parte della città: in via Foria, in via Roma, a Posillipo, all’Arenella…

Non sono più scontri isolati. Si tenta di cacciare i tedeschi dai quartieri e sbarrargli le vie della ritirata. Si formano nuclei di combattenti che si coordinano. Gli scugnizzi servono spesso a trasmettere ordini e informazioni; a Capodimonte uno dopo l’altro otto carri armati vengono attaccati e immobilizzati, alcuni completamente distrutti.
Molte ragazze al Vomero rischiano la vita, come Grazia e Renata Longo, portando armi ai combattenti; Giò Solimene distribuisce le armi nascoste nella villa del padre, l’avvocato Ermanno, tra via Alvino e via Cimarosa, a un gruppo di giovani antifascisti tra cui Willy Gargiulo, Gabriele Battimelli e Ugo Fermariello.

Nel pomeriggio del 29 settembre ha inizio uno degli ultimi combattimenti: l’assalto ai tedeschi asserragliati nello stadio del Vomero con 47 ostaggi. I combattenti sono guidati dal capitano Ezio Stimolo che riesce a ottenere a notte inoltrata il rilascio degli ostaggi in cambio della vita dei soldati. Alle cinque del mattino, il colonnello Scholl, sconfitto e in fuga, attraversa via Roma in macchina diretto verso nord. È un’auto italiana tutta chiusa, quattro agenti di polizia in piedi sui predellini sventolano fazzoletti bianchi per evitare l’assalto dei napoletani. Il Comitato antifascista aveva fatto avvertire la gente di non sparare perché la vita di Scholl e dei suoi uomini assediati al campo sportivo del Vomero erano state barattate con la libertà e la vita dei 47 ostaggi.

Al mattino del primo Ottobre non c’è più un tedesco in città, però il fuoco dei cannoni tedeschi continua a colpirla in un’ultima vendetta.
Alle 11 la prima colonna dei carri armati alleati entra finalmente a Napoli, accolta da fiori e applausi…
I partiti antifascisti costituitisi in Comitato di liberazione nazionale pubblicano un manifesto che dice tra l’altro: «Il popolo napoletano porge agli eserciti delle Nazioni Unite, difensori della libertà, un saluto cordiale» F.to Partito Liberale-Partito d’Azione-Partito della Democrazia Cristiana-Partito della Democrazia del Lavoro- Partito Socialista-Partito Comunista. È un breve momento unitario, ma durerà poco.