Il furore dell’individuazione, il fondamento primo del liberismo, la poetica dell’essere sé stessi, viene implacabilmente smontata, con metodo, dall’ultimo lavoro di Paolo Godani, Tratti. Perché gli individui non esistono (Ponte alle Grazie, pp. 229, euro 18). Lavoro serrato, metafisica dura, che attraversa un poderoso corpus filosofico per smontare la graniticità della singolarità, stella polare del contemporaneo che vive il comune al massimo come una cessione di sovranità.

È COME SE GODANI continuasse il lavoro cominciato con il suo La vita comune e approfondito con Sul piacere che manca, etica del desiderio e spirito del capitalismo, proseguisse cioè nello sforzo di immaginare l’individuo relazione e non proprietà come le persone tristi di questo tempo. Questa volta l’autore gioca con l’armamentario della filosofia, dall’antica alla contemporanea, ripercorre come un poderoso carotaggio l’archivistica del concetto di individuo, la sua attitudine a farsi specificazione per dissolverlo in «un mondo di qualità comuni, che di tanto in tanto, prendono a prestito un individuo per manifestarsi». Lui li chiama tratti queste intensità, circostanze oggetto di una identificazione rispetto al resto, un modo di sorridere, un particolare tipo di blu, il blu kein. E si aggregano come fanno le costellazioni attorno a un asse che non possiamo più immaginare come proprietario.
«Non esiste assolutamente nulla, a questo mondo, che abbia la natura di individuo, se con questo termine si intende qualcosa di unico e irripetibile. La ragione per cui parliamo comunemente di individui è che tendiamo ad assolutizzare la nostra esperienza delle cose, facendo del nostro tempo vissuto il principio della loro individuazione». Alla natura di questi tratti si può attribuire il carattere di una essenza liberata anzitutto dalla necessità di farne spazio recintato. A leggerlo con uno sguardo politico questo libro importante, di non facile approccio per l’incedere argomentativo fortemente dentro la metafisica e la logica, anzi dentro una «ontologia mistica», si può però imbattersi in una atmosfera interessante e potente.

È UNA STANZA dalla finestre ampie, irregolare e sfrontata che cerca con docile prepotenza di far fuori la proprietà come innesto sui concetti, la proprietà come paradigma orientatore delle idee, una stanza che si affaccia su un cortile comune, nuovo spazio senza porte dove va iscritto il nostro agire a venire, fatto di una aggregazione diversa da quelle differenze che ci rendono unici, non per la nostra irripetibilità ma per la nostra universalità. Questo cortile ha pure un altro nome, si chiama anche infanzia. E la difende Godani contro l’adulto che per essere tale «deve metterla a tacere». «La nostra logica e la nostra gnoseologia – ci spiega – hanno espulso fuori da loro stesse la riottosità, l’intrattabilità, la confusione, la sofferenza, l’impotenza, il balbettio, il grido e la dolcezza che caratterizzano l’infanzia (e la vecchiaia)». Il tempo delle percezioni paniche che si confina agli albori e ai tramonti delle esistenze è passaggio da aggredire nella strutturazione del soggetto capace di dirsi «io». Ma questa operazione di conoscenza, questa epistemologia non è anche una operazione giudicata positiva da un sistema che fa dell’efficienza il parametro del mondo che funziona? «La frangia di indeterminazione» che è innesto dell’infanzia, «quel feeling che è inseparabilmente affezione e sensazione» o per dirlo alla Sartre «quel campo trascendentale senza soggetto», potrebbe, sotto lo sguardo della teoria dei tratti di Godani, cogliere più verità di quanta ne ignori: le connessioni tra noi e il mondo, il nostro partecipare a un destino comune, il nostro essere solo se siamo in relazione.

QUESTO SMANTELLAMENTO del vecchio pensiero identitario ci permetterebbe di imparare a pensare a partire da un nuovo senso del «possibile», grandangolo di inesplorate strade sulle quali confezionare nuovi sguardi sulla vita e nuovi sguardi sulla morte. Sguardi poetici nella maniera in cui il sentimento poetico è l’alfabeto in grado di cogliere le connessioni che il recintamento che si porta dietro il classico concetto di individuo ha mandato in esilio. «Il sentimento confuso di una qualità notevole» che Bergson (di cui Godani è attento studioso) colloca all’origine del processo conoscitivo è un sentimento poetico, perché sussume il Merkmal, che da Leibniz a Kant, è rappresentazione parziale di una intuizione, «qualità marcante» che ci arriva al cuore quando diciamo «quello lì».
«Ai bordi dell’infanzia – continua Godani – ai confini tra l’essere e il pensare, tra il colore sordo delle cose e la parola che fa la vita della mente, l’operazione che più di ogni altra sembra iniziare il processo di ristrutturazione dell’esperienza è l’indicazione». Da un libro così tecnico nasce la voglia di liberarsi delle sovrastrutture, di riempirsi di arte, di cinema e di tutte quelle cose che ci riportano nei territori onirici dei nostri primi anni, quando la conoscenza era cosi adulta.