«Un’idea non è di destra né di sinistra. È un’idea. Buona o cattiva» diceva Gianroberto Casaleggio col piglio da motivatore aziendale che lo contraddistingueva. Conformandosi allo spirito del fondatore, il capo politico del M5S Luigi Di Maio ha deciso di affidare a un «tecnico», il professor Giacinto Della Cananea, il coordinamento di un «comitato scientifico», la cernita delle idee contenute nei programmi dei partiti che aspirano alla formazione del governo.

DALLA CONCEZIONE del governo come arte di prendere la decisione «giusta» in senso tecnico discende la trovata di affidare a un docente di diritto amministrativo la soluzione della sciarada politica di questi giorni. Della Cananea, peraltro, avrà il suo da fare innanzitutto per capire a quale programma dei 5 Stelle fare riferimento. Di impegni di governo se ne contano diversi. Proviamo ad elencarli in ordine cronologico, anche perché col passare del tempo i discorsi si sono ridotti all’osso e le intenzioni si sono in qualche caso precisate.

All’inizio della campagna elettorale c’era il programma ufficiale consultabile sul sito del M5S: un documento articolato in 24 temi. Si tratta delle questioni che, recita il titolo, sono state «scelte dagli italiani». Più prosaicamente, i circa 140 mila (di cui massimo 35 mila attivi) iscritti al portale Rousseau hanno potuto scegliere, «prendere o lasciare», le opzioni elaborate dallo staff grillino. In queste pagine, ha scoperto Il Post, si mescolano copia-e-incolla dalle fonti più disparate (e non dichiarate): dossier, articoli accademici, interpellanze parlamentari (di altri partiti, come il Pd). Però Luigi Di Maio quando parla di programma si riferisce ai «20 punti» da lui presentati un mese prima delle elezioni. Qui si possono rilevare alcuni punti di contatto: a partire dall’opposizione alle principali riforme degli scorsi anni. Salvini dice di volere abolire la riforma Fornero sulle pensioni, Di Maio parla di un «superamento». Sia Lega che 5 stelle puntano a cancellare la «Buona scuola», anche se con differenze sostanziali: i grillini promettono l’«incremento della spesa pubblica per l’istruzione» e i leghisti la «incentivazione della competizione pubblico-privata».

IN CAMPAGNA ELETTORALE Di Maio ha detto più volte che in fondo i programmi si assomigliano tutti, ma che i 5S hanno il pregio della «credibilità». All’intricata questione vanno aggiunte almeno altre due variabili. La prima è rappresentata dal governo virtuale presentato con una cerimonia simil-istituzionale all’Eur prima del voto. Dalla composizione di quella squadra e dalle dichiarazioni dei fanta-ministri si riesce a trarre qualche elemento in più sulle intenzioni grilline.

I TRE MINISTRI del comparto economico (Pasquale Tridico al lavoro, Lorenzo Fioramonti allo sviluppo e Andrea Rovenitini al tesoro), ad esempio, vantano un profilo keynesiano e molto poco sovranista. Tridico nel 2013 aveva mostrato apprezzamento per gli 8 punti «per un governo di cambiamento» formulati dall’allora aspirante premier del Pd Pierluigi Bersani. Quanto all’Europa, entrambi gli schieramenti contestano i limiti posti dal rapporto deficit/Pil. Il Pd, dal canto suo, rivendica l’impegno per «un cambiamento d’indirizzo alla politica economica europea dall’austerità alla crescita». Va detto che come il M5S anche la Lega coll’avvicinarsi del voto ha sfumato la sua posizione No Ue, limitandosi a ipotizzare «un percorso condiviso di uscita concordata» dalla moneta unica.

A semplificare un poco la faccenda sono arrivate le dichiarazioni post-voto. Di Maio ha esplicitato le questioni attorno alle quali trovare la quadra. «Lavoro, tasse e migranti». Le tre priorità parevano pensate apposta per sedurre definitivamente il promesso sposo Salvini. Sul lavoro, sia Lega che M5S dicono di voler abrogare il Jobs Act. La Lega, fedele all’impostazione territoriale, punta sullo sviluppo della contrattazione aziendale.

I grillini si sono notoriamente impegnati a introdurre quello che chiamano «reddito di cittadinanza». Tema che Salvini ha provato a recuperare promettendo aiuti a chi perde il lavoro. E il prof Della Cananea potrebbe accorgersi che rifinanziando il «reddito di inclusione» promosso da Renzi si avvicinerebbe all’idea di workfare promossa da Di Maio.

Sul fisco ci sono meno analogie. Com’è noto, la Lega perora la causa del trickle down, formuletta reaganiana in base alla quale le risorse lasciate ai più ricchi sono destinate a favorire anche chi sta più in basso nella scala sociale. Lo strumento principale è la flat tax, aliquota per tutti al 15%. Dal M5S giurano di essere contrari a qualsiasi tipo di patrimoniale e propongono tre fasce progressive di prelievi: 23% per i redditi tra 10 e 28 mila euro annui, 37% tra 28 mila e 100mila e 42% sopra i 100 mila.

INFINE, LA QUESTIONE dei migranti. E qui, al di là dei toni più o meno accesi, i tre partiti si somigliano. Lega e M5S parlano di migrazioni ma nei fatti si occupano solo della questione che pesa meno dal punto di vista numerico e più dal punto di vista dell’immaginario: i richiedenti asilo e gli arrivi via mare. Entrambi propongono di far cessare il non meglio definito «business dell’immigrazione» e fermare gli sbarchi. Ma non bisogna dimenticare che l’estate scorsa fu Di Maio a pescare dai dossier della destra europea la fantomatica questione delle Ong «taxi del mare» per passarla al tritacarne mediatico e consegnarla sulla scrivania di Minniti al Viminale. Sperimentarono un’intesa millimetrica.