La destra israeliana più radicale e alcuni ministri si mostrano freddi nei confronti di Trump. Sono delusi per la retromarcia fatta dal presidente americano sul trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Ne abbiamo parlato con l’ex diplomatico, ora analista del Centro Studi Strategici “Besa” di Tel Aviv, Arye Mekel, che si dice convinto che Trump non farà altro che seguire il solco tracciato dai suoi predecessori.

La destra non inneggia più a Trump che pure si proclama un alleato stretto di Israele

Quelli che in Israele celebravano l’elezione di Donald Trump semplicemente non capiscono l’America. Trump è il presidente degli Stati Uniti e tutti i presidenti americani dal 1967 in poi hanno fatto qualcosa per il conflitto israelo-palestinese. Hanno dimenticato che Trump non è stato eletto per essere il presidente di Israele. Non c’è mai stata alcun possibilità concreta di trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme (che Trump aveva promesso durante la campagna per le presidenziali, ndr) e io dico che non avverrà in futuro. Così come non ci sarà un cambiamento radicale della politica americana nei confronti degli insediamenti israeliani (in Cisgiordania, ndr). I principi fondamentali della politica degli Usa verso la questione israelo-palestinese sono gli stessi da cinquant’anni a questa parte e non li cambierà neppure Donald Trump.

Dove Trump concretamente proverà a fare gli interessi di Israele

Trump guarda alla regione per favorire Israele. Punta sulla paura dell’Iran di diversi Paesi arabi, Arabia saudita in testa, per modificare l’atteggiamento dei loro leader nei confronti di Israele. In minima parte è già avvenuto spontaneamente, in conseguenza dei conflitti in atto nella regione, ma siamo ancora molto lontani dallo scenario nuovo che il presidente americano intenderebbe creare.

Cosa pensa del piano per israeliani e palestinesi che Trump avrebbe in mente

Diciamo le cose come stanno. Le nostre posizioni e quelle dei palestinesi da lungo tempo sono inconciliabili. Le due parti non vogliono e non possono possono rinunciare a certi principi e sono più interessate al mantenimento che al cambiamento dello status quo. Per Israele un cambiamento vorrebbe dire rinunciare a qualche insediamento (coloniale), al congelamento delle nuove costruzioni nelle colonie, cose che sono davvero difficili da accettare per Netanyahu e il governo in carica. E per (il presidente palestinese) Abu Mazen vale lo stesso, non può rinunciare al diritto al ritorno per i profughi palestinesi. Anche Israele accettasse di dargli gran parte della Cisgiordania, Gerusalemme Est e via dicendo Abu Mazen non andrebbe ugualmente ad un compromesso perché i palestinesi, e anche tanti arabi, non gli permetterebbero di mettere da parte il diritto al ritorno. Trump perciò farà quello che hanno fatto i suoi predecessori, convocherà Netanyahu e Abu Mazen a Washington, promuoverà qualche colloquio tra le delegazioni delle sue parti ma alla fine non ne verrà fuori nulla di concreto.