Sin dalla copertina, che evoca una celebre sequenza di «Casablanca» con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, si capisce subito che la raccolta delle più belle battute del grande cinema – che dopo più di vent’anni torna in libreria con un notevole numero di new entries tratte da oltre millecinquecento film – è uno strepitoso documento della mitologia cinematografica. Nel momento in cui sembra ridurre i film in pillole, ne ripropone la folgorante alchimia mitopoietica. Se è Ingrid Bergman, proprio nel film di Michael Curtiz, che rivolgendosi a Sam, il pianista Dooley Wilson del Rick’s Café American, gli chiede di suonare ancora una volta la celebre canzone – sua e di Rick – come dimenticare la battuta: «È il mio cuore che batte o sono i colpi di cannone?», che segna la vibrante fragilità di Ilse, incerta tra due uomini nel dramma della guerra, e quell’altra, ancora più famosa, con cui il film si chiude:«Forse oggi siamo all’inizio di una bella amicizia», che Bogart rivolge a Claude Rains dopo che Ilse è partita con Laszlo per salvare il mondo, mentre visti di spalle si allontanano in campo lungo sotto la pioggia battente nell’aeroporto di Casablanca? Se nel corso di ogni film si rischia talvolta di lasciarsi sfuggire una frase del parlato, soprattutto quando i dialoghi si incrociano e si sovrappongono (pensiamo a Robert Altman, ma non solo a lui), nei meccanismi misteriosi della memoria è proprio quella battuta che riaffiora improvvisamente per ricordarci in modo emblematico il senso del film.

Abbiamo nominato Bogart, ma è Lauren Bacall che in «Acque del sud», molto meno impacciata di lui, al loro primo incontro non esita a dirgli: «O, se vuoi, basta un fischio…Tu sai fischiare, vero, Henry?». Ammettiamolo, è un’espressione che da sola sembra in grado di evocare l’immagine dei due grandi attori, il cupo magone di Bogey e la sfrontata freschezza della giovanissima Lauren, un’immagine in cui non c’è solo il loro primo incontro ma anche miracolosamente la loro storia futura. L’antologia attinge con abilità dal cinema di tutto il mondo, privilegiando naturalmente il cinema americano e il cinema italiano. La scelta si rivela tanto più giusta quanto più la battuta ha inciso nel nostro immaginario di spettatori, ha assunto la singolare capacità di evocare un’esperienza in qualche modo epocale, di raggiungere le cadenze tipiche dei proverbi. Lunghe o corte, fulminanti o paradigmatiche, sono molte le citazioni che riescono a recuperare il ricordo in parte sbiadito di un film, a farti venir voglia di rivederlo o di vederlo per la prima volta, sono in qualche modo preziose per ricomporre un mosaico delle vicende del cinema, se non addirittura la sua storia. Quasi sempre sono più brillanti e vivaci, più accattivanti e suggestive delle noiosissime raccolte delle recensioni dei critici, che si affannano a raccontare i film a colpi di aggettivi e di sentenze. Qualche dubbio mi è venuto a proposito dei film comici, soprattutto italiani, ma non solo, in cui la battuta risulta molto meno divertente di quanto ci aspettavamo. Insomma, non si ride. Forse perché il comico ha bisogno del gesto e del corpo per far scattare il meccanismo del coinvolgimento ludico, della condivisione brillante. La parola, da sola, non sempre ci riesce. I comici, anche i grandi comici, rischiano grosso quando sono ridotti inopinatamente alla dimensione cartacea, costretti a battersi per sfuggire alla ferrea griglia della pagina. L’idea potrà sembrare assurda. Ma chissà se la prossima antologia non conterrà, assieme alle parole, anche i fotogrammi. Come si fa a prevedere cosa succederà nel futuro? «Dopotutto, domani è un altro giorno» (pp. 648, euro 19,00).