È una delle parole più pronunciate, più agognate, nei giorni scorsi a Venezia: passerella. Al plurale, soprattutto, quelle che tutte le tv del mondo mostrano ogni volta sistemate là, davanti Piazza San Marco, con i turisti che ci camminano sopra anche se sotto è tutto asciutto.

I È una delle parole più pronunciate, più agognate, nei giorni scorsi a Venezia: passerella. Al plurale, soprattutto, quelle che tutte le televisioni del mondo mostrano ogni volta sistemate là, davanti Piazza San Marco, con i turisti che ci camminano sopra anche se sotto è tutto asciutto, o utilizzate dagli stessi come panchina su cui sedersi e banchettare, rimbrottati da noi veneziani quando ci passiamo accanto. Poi, quando l’acqua sale, ci si salta sopra, alle passerelle, e ci si mette in fila, adeguandosi al passo di chi sta là davanti e scandisce il ritmo.

MA PASSERELLA È STATA anche una delle parole più maledette, quando ci si trovava dentro a interi tratti sott’acqua ma sprovvisti di quelle – maledette – passerelle. Diventate poi, la sera del 12 novembre scorso, del tutto inutili, con l’acqua che prima le ha scavalcate, poi le ha fatte galleggiare e, alle fine, trascinate via da quell’ondata tremenda che non dimenticheremo mai, tavole da surf sghembe e inutili pure per quello. Oppure le passerelle che uniscono le rive agli imbarcaderi, strappate via anche quelle dalla furia di acqua e vento, lasciando i pontili inagibili e chissà per quanto ancora lo resteranno. Le passerelle veneziane, tavole di legno appoggiate sopra a dei cavalletti in metallo, oggetti che da sempre fanno parte dell’arredo urbano veneziano, ormai per l’intero anno, visto che sempre più spesso delle acque alte, pur minime, si verificano anche d’estate.

POI PERÒ, IN QUESTI GIORNI abbiamo visto anche un altro tipo di passerelle. Passerelle che, paradossalmente, non si servivano delle passerelle di legno perché per quella certa passerella era meglio restare il più possibile a mollo per mostrare al mondo intero la solidarietà dei potenti, calati dall’alto per dire a tutti: ora ci pensiamo noi. (Per ripetere a tutti sempre la solita frase: bisogna finire il Mose. Olé).

PASSERELLE ELETTORALI, si chiamano, ché tanto in Italia la campagna elettorale, ci siamo abituati, è perenne. Prima fra tutti, la passerella giù dalle passerelle del sindaco di Venezia, che ha presidiato la Piazza quasi ventiquattr’ore su ventiquattro, sempre sul pezzo, come si dice, a dimostrare ai suoi cittadini la sua totale dedizione alla causa per cui è stato eletto.

SÌ, LA PRIMA LETTURA, quella in scala uno a uno, potrebbe proprio essere questa: il sindaco della gente, fra la gente: Ammirevole, no? Solo che poi possiamo anche dare forse il giusto nome a questa cosa e chiamarla magari populismo, e allora la lettura di quel presidio si trasforma appunto in passerella, ché nel 2020 si vota e una buona quantità di interviste televisive e non, a ripetizione, con gli stivaloni a mollo, fa sempre il suo bell’effetto. Sì, duplice lettura: meglio un sindaco che coordina tutto dalle sedi opportune, o un sindaco che fa («io sono uomo del fare», ripete spesso), che si sforza per entrare in empatia con i suoi concittadini, fino all’apoteosi finale di domenica scorsa quando si è caricato sulle spalle l’inviato di Domenica In che aveva gli stivali troppo bassi.

CHE SIA DAVVERO QUESTO il modo più efficace, il modo più serio di amministrare una città? Le risposte, credo, sono molteplici. Del resto, quel certo tipo di passerelle le hanno fatte anche altri, a cominciare da chi inaugurò, nel lontanissimo 2003 (indovinello: chi era il Presidente del Consiglio nel 2003?), i lavori del famigerato Mose, che doveva servire a salvare Venezia dalle acque alte e utile finora solo come fonte di un sistema di corruzione mai visto prima. Chissà, poi magari un giorno funzionerà davvero, il Mose. E non poteva mancare anche colui che delle passerelle è diventato il più grande fruitore in assoluto, e non solo di passerelle, ma anche di consolle da dj, di palchi, e di retropalchi che diventano a loro volta palcoscenico per la processione immancabile dei selfie, nuovo rituale o nuova liturgia di ciò che resta della politica in Italia (Qua serve l’indovinello per capire di chi si tratta?).

ECCO, VENEZIA IN QUESTI giorni non è diventata soltanto il simbolo di un pianeta in subbuglio, di una natura che sempre più grida a noialtri di invertire la rotta, che la misura è colma, che bisogna cambiare. Venezia è stata anche il cuore della mediatizzazione politica, passerella di passerelle, anche se poi, a noi veneziani, interessavano solo ed esclusivamente le altre, di passerelle, quelle di legno, capaci di farci stare all’asciutto. Troppo facile, banale e forse sciocco dirlo, ma lo dico: questo paese fa acqua da tutte le parti. Ora si è solo spostata, Venezia tira un respiro di sollievo e essere a rischio ora sono le nostre montagne, i nostri fiumi, altre città di questo povero paese. E allora sì ci vorrebbero adesso tutta una serie di passerelle (no, non più quelle dei politici che sanno solo mettersi in mostra, che sembrano vivere, respirare solo per mettersi in mostra, convinti, ahimè a ragione, che solo mettendosi in mostra saranno eletti o rieletti).

DI ALTRE PASSERELLE abbiamo bisogno, metaforiche ma necessarie, grandi o piccole poco importa, capaci però di attraversarla tutta l’acqua che sta facendo questo paese, questo pianeta. Incominciamo a costruirle e in fretta. Qualcuno dice sia già troppo tardi.