Tra i più noti giornalisti investigativi degli Stati Uniti, David Neiwert è cresciuto in Idaho e ha frequentato l’Università del Montana, lavorando come cronista per diverse testate di quella regione nord-occidentale del paese nella quale i gruppi della destra radicale hanno sognato a lungo di far nascere un «bastione bianco», separato e contrapposto all’odiato melting pot che pur tra mille contraddizioni caratterizza la realtà americana. A quell’immaginario razzista e violento, che si nutre apertamente dell’idea di eliminare neri, ebrei, ispanici e ogni nuovo immigrato che tenti di giungere o già viva nel paese, proprio del circuito del neonazismo, degli eredi del Ku Klux Klan come del movimento delle Milizie paramilitari, Neiwart aveva dedicato già nel 1999 il suo primo libro: In God’s Country: The Patriot Movement and the Pacific Northwest.

Vent’anni più tardi, dopo aver indagato senza sosta le culture e i movimenti dell’estrema destra, analizzando in particolare lo sviluppo dei gruppi violenti anti-immigrati e la radicalizzazione dei media conservatori e dello stesso Partito repubblicano durante gli anni della presidenza Obama – temi che ha affrontato in decine di inchieste pubblicate dai giornali americani, sul suo blog, dneiwert.blogspot.com e su quello del Southern Poverty Law Center, il maggior centro di documentazione anti-razzista del paese, Hatewatch, oltre che in diversi saggi, tra cui, Death on the Fourth of July: The Story of a Killing, a Trial, and Hate Crime in America (2004), The Eliminationists: How Hate Talk Radicalized the American Right (2009) e And Hell Followed With Her: Crossing the Dark Side of the American Border (2013) – si è reso conto che il tema da sempre al centro delle sue ricerche aveva conquistato il cuore della politica statunitense grazie all’elezione di Donald Trump.

In Alt-America : the Rise of the Radical Right in the Age of Trump (Verso, 2017), l’inchiesta che David Neiwert ha pubblicato al termine del primo anno alla Casa Bianca dell’ex tycoon newyorkese, si racconta così come gran parte delle parole d’ordine, e la stessa «visione» del destino del paese che caratterizza gli ambienti pericolosi, ma numericamente ridotti degli estremisti razzisti, antisemiti, omofobi, cospirazionisti, si siano progressivamente trasformati in un fenomeno «mainstream» grazie alla propaganda martellante dei media di destra, su tutti Fox News, e soprattutto grazie a Trump che ha, per dirla con Neiwert, «messo il turbo a queste idee» che quando non rappresentano aperte menzogne o palesi distorsioni della realtà, si basano soltanto su pregiudizi e odio. Uno stile che ha caratterizzato i primi due anni dell’amministrazione Trump e che domina la scena anche alla vigilia delle elezioni di midterm accompagnate dal moltiplicarsi di atti di violenza e vero e proprio terrorismo razzista.

 

La sinagoga “Tree of life” di Pittsburgh, dove il 27 ottobre un suprematista bianco ha sparato sui fedeli uccidendo 11 persone

 

La strage nella sinagoga di Pittsburgh, due afroamericani uccisi da un suprematista bianco in Kentucky, decine di pacchi bomba inviati ai leader democratici. Nell’America intrisa di odio che sta costruendo Trump si comincia a passare dalle parole ai fatti?
Senza dubbio. E temo che sia solo l’inizio. Questo tipo di violenza è destinata a crescere. Il «passaggio all’atto» viene incoraggiato ogni giorno dalle teorie cospirazioniste che dilagano nel paese e dell’odio diffuso a piene mani dalla destra, naturalmente dagli estremisti ma sempre più spesso anche dai conservatori. E, in tutto questo, Trump non è solo, ma il suo è un ruolo chiave, perché è la figura più importante del paese e ogni cosa che dice può servire da cauzione politica per chi decida di compiere simili gesti. Un esempio? Lo stragista di Pittsburgh era furioso per l’avvicinarsi della carovana dei migranti latinoamericani che si sta dirigendo verso il confine meridionale degli Stati Uniti – tema che è al centro della campagna elettorale del presidente che lancia l’allarme sull’«invasione» che sarebbe in corso – e ha voluto colpire proprio quella sinagoga perché era particolarmente attiva nel sostegno a profughi e immigrati.

Anche se Trump nega ogni rapporto di causa-effetto tra le sue posizioni e il diffondersi della violenza razzista, non è la prima volta che si assiste a tali inquietanti convergenze…
In effetti, fin dalla candidatura di Trump sono emersi nei suoi interventi riferimenti espliciti a temi o parole d’ordine legati all’estrema destra, e non soltanto sul tema dei migranti. Nel giugno del 2015, un giovane suprematista bianco, Dylann Roof, ha compiuto una strage in una chiesa afroamericana di Charleston, nella Carolina del Sud, uccidendo nove persone. Roof era ossessionato dalle statistiche fasulle sulla «criminalità nera» diffuse da siti razzisti come quello del Council of Conservative Citizens o dai neonazisti di Daily Stormer che lo hanno convinto che gli afroamericani stavano cercando di uccidere tutti i bianchi d’America. Ebbene, in quegli stessi giorni Trump annunciò la sua «discesa in campo» che prese forma di lì a poco con una campagna sui social condotta a colpi di post che diffondevano le medesime false statistiche sul «crimine dei neri» per cercare di intercettare le paure e le inquietudini di una parte dell’America bianca. Il problema è che dopo un attentato o una strage ci soffermiamo soltanto sull’orrore che producono in noi, senza interrogarci abbastanza sulle idee, e le menzogne, che hanno armato quelle mani. E questo, fino al prossimo fatto di sangue.

Proprio questa campagna elettorale sta però rivelando, a differenza delle divergenze emerse all’inizio del suo mandato, come molti tra i candidati repubblicani e gli opinionisti conservatori condividano le posizioni di Trump. Il commentatore di Fox News, vista ogni giorno da milioni di americani, Tucker Carlson ha utilizzato immagini della carovana dei migranti mescolate a quelle di incidenti tra la polizia e giovani anarchici per affermare che questa vicenda è solo «un complotto della sinistra».
Non è un caso che i cosiddetti «nazionalisti bianchi» amino tanto Tucker. Lo amano perché dice le cose che vogliono sentirsi dire sul fatto che l’America è invasa da persone dalla pelle scura… Robert Bowers, lo stragista di Pittsburgh, prendeva questi discorsi e queste trasmissioni molto sul serio. Del resto, quando alle persone viene detto costantemente che il loro paese sta subendo un’invasione, è probabile che si spaventino, che qualcuno si arrabbi, che altri decidano di agire. I rifugiati della carovana vengono raffigurati come mostruosi invasori che stanno per «avvelenare» l’America. Trump e i suoi portavoce usano un linguaggio più che minaccioso nei confronti di persone povere, disperate e vulnerabili. Il presidente li ha appena minacciati con l’esercito: si tratta di un chiaro incoraggiamento alla violenza.

Allo stesso modo, di recente Trump si è autodefinito come un «nazionalista» e ha attaccato «i globalisti» come Soros, responsabile a suo dire della carovana dei migranti. Ma questo non è il lessico dei suprematisti bianchi…
In realtà credo che questo linguaggio sia arrivato fino a Trump tramite i suoi collaboratori, di oggi come di ieri, da Stephen Miller a Steve Bannon che da tempo annunciano l’avvento in tutto il mondo del «nazionalismo economico». Il problema è che nella storia dell’umanità non c’è mai stato un regime nazionalista che non sia divenuto dittatoriale e che per questa via non abbia intrapreso la strada del genocidio. Quanto ai riferimenti al «globalismo» è probabile che siano pescati dal repertorio di Alex Jones, un sostenitore molto noto di ogni sorta di tesi complottista. In realtà si tratta di antisemitismo allo stato puro, perché in questi ambienti si parla di «globalisti» per non dire esplicitamente «ebrei». Prima o poi mi aspetto che Trump cominci a parlare anche di «marxismo culturale» che è il modo in cui le figure dell’estrema destra, da Patrick Buchanan a Jared Taylor solo per citare due nomi, cercano di riverniciare il vecchio complotto dei Protocolli dei savi di Sion. In ogni caso l’obiettivo è sempre lo stesso: convincere le persone che devono fronteggiare una minaccia esistenziale per loro stessi e il loro paese ad opera di una specifica minoranza. Le conseguenze di una tale predicazione sono sotto gli occhi di tutti.

Quanto è cresciuto in questi due anni di amministrazione Trump il seguito per tali idee? E come si può fermare tutto ciò?
Posso dire che gli americani disposti a credere a queste menzogne razziste sono sempre più numerosi: erano stimati intorno al 18% della popolazione nel 2016, ora superano il 30%. Non solo. Le persone che crescono in un clima del genere, che sono spinte alla violenza dall’odio e dalle menzogne tendono a passare all’azione anche quando il panorama politico cambia. Ci vuole del tempo perché simili fenomeni che scavano profondamente in una società, facciano marcia indietro. Perciò, è chiaro che per fermare questa onda di odio le persone devono andare a votare. Ma purtroppo non sarei sorpreso dall’eventualità che se i democratici riconquisteranno la Camera, ci possa essere un brutto contraccolpo, vale a dire altra volenza, dopo queste elezioni. Di fronte ad un cambiamento vero, solo il tempo giocherà a favore della democrazia