Luis García Montero è considerato da tempo il massimo poeta spagnolo. Classe ’58, docente all’Università di Granada, insignito dei più importanti premi letterari iberici, Montero coniuga storia, contesti urbani ed effusione affettiva in una lirica lieve, graffiante. Un romanticismo illuminato (a cura di Gabriele Morelli, Crocetti, pp. 256, euro 18) è un’antologia, ammannita dall’autore, che raccoglie testi lungo l’arco di un itinerario esistenziale fedele al valore delle parole. «Ma col passare del tempo,/ quando dolore e fortuna si consumano con noi,/ vorrei che questi versi sconfitti/ avessero l’emozione/ e la quiete delle rovine classiche».

Gli ingredienti fondamentali della sua poesia sono il sentimento e la riflessione ideologica.
Ho iniziato a leggere poesie fin da giovanissimo in Spagna durante la dittatura. Sono di Granada e il ricordo dell’omicidio di García Lorca mi ha spinto a impegnarmi per la vita e la democrazia. Mi ci è voluto poco per capire che la democrazia non significa poter votare ogni quattro anni, ma cambiare l’intera educazione sentimentale formata dal franchismo: per esempio, la memoria storica o il machismo imperante. Impegnarsi nella storia non è stato soltanto ricordare Lorca o scrivere poesie contro la dittatura, ma anche chiedermi cosa dico quando dico «io sono» o «ti amo». Con un gruppo di amici poeti abbiamo firmato un manifesto, «L’altro sentimentalismo». La storia non passa unicamente attraverso una guerra, un’elezione o uno sciopero generale, ma attraverso i sentimenti che non sono eterni, ma sono conseguenza di società e situazioni. Ecco perché parlare di sentimenti ha a che fare con la riflessione ideologica sull’io e sul noi.

Un ritratto del poeta Luis García Montero

«Se l’amore, come tutto, è questione di parole,/ accostarmi al tuo corpo fu creare un idioma». Qual è il rapporto dell’amore con il linguaggio, anche in relazione alle idee di Lacan e Derrida?
Ho studiato Lacan negli anni ’80. Ero molto interessato alla psicoanalisi, ma ero più influenzato dall’indagine sull’inconscio come luogo definito anche dalla storia. Mi identifico meno con Derrida. Tutto l’impegno per decostruire il potere, il linguaggio e le istituzioni mi sembra legato al neoliberismo fluido. Il potere non solo non è un male, ma è necessario affinché non venga imposta la legge del più forte o la legge della giungla. La poesia insegna che molte cose si adattano alle parole. Una lingua è più di un dizionario. Quando mia nonna diceva di essere una donna, diceva una cosa assai diversa da ciò che dice oggi mia figlia. E la mia condizione maschile cerca di prendere le distanze il più possibile dall’uomo macho. Per questo mi interessa indagare la poesia d’amore, il vocabolario dei sentimenti. Si tratta di sapere come si forma un noi tra il tu e l’io. Le buone opere letterarie formano un noi tra l’autore e il lettore. Il fatto letterario esiste solo quando il lettore abita un libro e si riconosce in ciò che scrive l’autore. La stessa cosa accade al contrario, quando l’autore riconosce sé stesso e trascende il suo sé biografico in un noi che lo aiuta a comprendere la parte più profonda della condizione umana.

Qual è il peso del pensiero marxista nella sua riflessione?
Ai tempi dell’università, aderii al Partito Comunista che aveva condotto la lotta clandestina contro il franchismo. Più tardi, nel 1983, accompagnai Rafael Alberti a Praga e verificai che lo stalinismo aveva pervertito i sogni comunisti. Poi ho cominciato a partecipare alla coalizione di Sinistra Unita, il gruppo politico che sosteneva la lotta per le uguaglianze del socialismo, ma all’interno della democrazia. Non puoi lottare per la libertà rompendo l’uguaglianza o lottare per l’uguaglianza sacrificando la libertà. Il coinvolgimento politico mi ha fatto entrare in contatto con i teorici marxisti nei miei studi letterari. Il mio maestro era Juan Carlos Rodrígues, un professore di letteratura allievo di Louis Althusser. Mi ha aiutato a comprendere il carattere ideologico della letteratura, non solo studiando autori con esplicito impegno politico, ma anche classici come Dante, Petrarca o san Giovanni della Croce. Oltre a Marx, Gramsci o Lukács, sono stato influenzato dal pensiero di Pasolini sulla trasformazione culturale delle società in mano al consumismo narcisistico. È stato un punto di riferimento fondamentale nel mio orientamento democratico e sociale, quando la Spagna ha aderito allo sviluppo economico europeo. La mia poesia racconta la mercificazione dei corpi e gli inviti alla solitudine. Non c’è niente di più solitario della folla in una piazza nelle città di oggi.

Lei ha scritto su Bécquer, Rafael Alberti, García Lorca. Che ruolo hanno avuto nella sua scrittura e come vede la poesia spagnola e latino-americana?
L’ammirazione è inseparabile dalla letteratura, perché quest’ultima implica un’idea del tempo che ha poco a che fare con la sacralità del momento. Il consumismo capitalista trasforma tutto in merce, compresi gli assi culturali. La fretta è terreno fertile per l’irresponsabilità di ciò che si dice e l’egoismo. La letteratura, al contrario, dà un’idea del tempo basata sull’esperienza umana della storia, una comunità forgiata nel corso dei secoli. Chi cancella la memoria cancella l’impegno per il futuro, come ha notato John Berger. Quindi ricevere l’eredità di Bécquer, Lorca, Alberti, Rosalía de Castro significa trasformare la letteratura in un’eredità umana che vogliamo lasciare ai più giovani. Un giovane disposto a vivere senza memoria è pericoloso quanto un vecchio burbero, disconnesso dal mondo. E nella scena dei più giovani è molto importante la poesia ispano-americana. Noi spagnoli siamo l’8% dei madrelingua di un idioma che conta più di 500 milioni di persone. La leadership latino-americana è logica e fondamentale. Seguo con interesse l’ottima poesia del Messico, della Colombia, di Santo Domingo, del Nicaragua…

Cosa ne pensa dei risultati elettorali in Francia, Germania, Austria? E in generale degli equilibri politici internazionali?
I democratici vivono in una situazione che giustifica le preoccupazioni. Dopo la Seconda guerra mondiale il progresso economico fu identificato con la democrazia. Ma oggi c’è un doppio fallimento. Il potere economico si estende in paesi segnati dalla dittatura, come la Cina, o dal fondamentalismo islamico. Gli ideologi che lottano contro lo Stato in favore del neoliberismo hanno trovato un aiuto impensabile nelle bufale diffuse dai social che cancellano la verità a favore di identità virtuali, chiuse, inclini all’odio. La stessa perversione che è stata fatta con la parola «libertà» cresce con la parola «sicurezza»: essere al sicuro oggi non significa favorire la convivenza, ma rafforzarsi contro l’altro inteso come nemico. Ciò ha invaso anche la mentalità delle minoranze, che non si difendono più in un bene comune definito dalla diversità, ma in nome di identità concorrenti. Se la democrazia non garantisce la libertà dei più forti, questi sono disposti a stringere accordi con autoritarismi capaci di rinnovare i vecchi fascismi. Il populismo promosso dai social, con personaggi come Trump, Bolsonaro o Milei, trasforma le grida demagogiche in una negazione della verità. Dobbiamo chiederci cosa stiamo facendo di sbagliato perché fiorisca questo discredito della politica in nome del fanatismo. Ricordo la confessione di Albert Camus quando gli fu assegnato il Nobel: le generazioni precedenti hanno lottato per costruire un mondo; il mio, adesso, lotta per non crollare. Bene, eccoci di nuovo qui.