Della scissione tra Area e Md non ho capito granché ma temo che si sia riprodotto il solito contrasto tra l’ala politico-antagonista e quella istituzional-governista: mi si perdonino queste etichette approssimative che non vogliono intaccare in nessun modo l’onestà intellettuale dei protagonisti. Nulla di nuovo, comunque, sotto il cielo di una sinistra giudiziaria che non è mai stata omogenea ed anzi ha nel suo dna proprio questa sorda lotta, non troppo sotterranea, tra chi è preoccupato di promuovere più efficienza democratica nel funzionamento della giustizia e chi è più preoccupato del contesto politico generale, tra chi guarda troppo dentro e chi troppo fuori dagli uffici. È stato sempre difficile in Md trovare una sintesi, anche se si era tutti disposti a rimanere all’interno di una sorta di coesistenza pacifica, una tregua che però nei momenti difficili provocava scontri furibondi.

Vorrei innanzitutto ricordare che, contrariamente a quanto afferma Zaccaro nell’intervista al manifesto (27 dicembre), Md è nata proprio con una fuoriuscita da una più ampia area di magistrati, sicuramente democratici, ma contrari a portare fuori dagli uffici le battaglie libertarie e soprattutto sociali dei primi Anni 60. Il manifesto ideologico e programmatico di Md è tutto nel «libretto giallo» redatto da Luigi Ferrajoli, Vincenzo Accattatis e Salvatore Senese per il congresso del dicembre 1971 (Per una strategia politica di Magistratura democratica) nel quale si teorizzava la promozione di una giurisprudenza alternativa non chiusa in se stessa ma capace di promuovere, «attraverso il collegamento organico con il movimento di classe, una cultura giuridico-politica alternativa all’ideologia tradizionale del diritto e della giustizia borghese che valga a prefigurare … un modello di giudice e di giustizia alternativo in una prospettiva di transizione al socialismo».

All’interno della corrente però questa strategia era mal sopportata da settori più moderati che volevano le stesse cose solo se e quando concordassero con le battaglie della sinistra ufficiale, cioè del Pci.

L’ala movimentista, con l’avversione del Pci, era corsa lancia in resta contro la legge Reale con la raccolta di firme per il referendum abrogativo. Poi aveva preso una posizione pubblica contro le leggi speciali emanate per contrastare il terrorismo e in questo contesto c’erano state rotture, perfino personali, tra giudici di Md che istruivano i processi ai brigatisti e giudici che criticavano questo impegno, ed ancora tra giudici che appoggiavano il teorema del pm Calogero sull’autonomia operaia e quelli che lodavano la resistenza del giudice istruttore Palombarini.

Molto altro ci sarebbe da ricordare di queste battaglie epiche tra istituzionalisti e movimentisti che si sono anche odiati, ma non si sono mai divisi perché alla fine si riusciva sempre a conciliare con intelligenza i due momenti della stessa battaglia. Si era molto attenti alla giurisprudenza, con riviste come Quale giustizia e poi Questione Giustizia, ma si era anche molto dentro i movimenti e le lotte sindacali. Così sia all’interno degli uffici che all’esterno nella società risaltava la figura di un giudice di Md legato all’impegno giudiziario e al sociale. Ora che se ne sia uscita la maggioranza della componente eletta nel Csm è veramente un brutto segno di rottura, speriamo non irrimediabile, perché sarebbe una sconfitta per quel poco di sinistra che c’è rimasta. Basterebbe tornare alle origini, ma la vedo dura.