A New York sono ventuno le opere di arredo urbano progettate e realizzate da Costantino Nivola (1911-1988), l’artista di Orani (Sardegna) che a una prevalente attenzione per la scultura ha unito un interesse costante per l’architettura. Nominato nel 1937 direttore dell’ufficio grafico della Olivetti, l’anno successivo Nivola sposò Ruth Guggenheim, un’ex compagna di studi di origine ebraica, e per sfuggire alle leggi razziali lasciò l’Italia, rifugiandosi dapprima a Parigi, dove lavorò come disegnatore, e poi, dopo l’invasione nazista della Francia, negli States.

A NEW YORK la collaborazione con Le Corbusier e con Eero Saarinen lo portò a considerare la possibiltà di usare la scultura in rapporto con l’architettura. La prima sperimentazione delle possibili connessioni tra le due pratiche espressive fu il lavoro che Nivola progettò nel 1954 per lo showroom Olivetti sulla Fifth Avenue: un bassorilievo alto 4,5 metri e lungo 23. Simile è il sandcast della facciata sud della Coney Island’s William E. Grady High School (1957). Ma possono essere ricordati anche i bassorilievi della Beach Channel High School nel Rockaway Park (1974) e la Recreation Area nell’Upper Weyt Side, uno spazio creato nel 1962 tra due blocchi residenziali che comprende un gruppo di sculture, un bassorilievo e un muro di graffiti.
Un panorama completo di ciò che Nivola ha realizzato a New York, in un itinerario creativo che per certi versi ha anticipato le modalità successive dell’arte pubblica, è ora offerto dal libro del fotografo Marco Anelli, Tino. Nivola in America (Silvana Editoriale, pp. 128, euro 35). «Nivola – scrive Stefano Salis, il giornalista del Sole 24 Ore che nel libro di Anelli ricostruisce il viaggio dello scultore sardo dalla Barbagia e Long Island – non è artista da galleria. Certo, esiste ovviamente anche questo aspetto, ma soprattutto e più di tutto Nivola è artista da opere pubbliche. Opere esposte e inscritte in un paesaggio, in modo da modificarlo ma anche da esserne influenzate, esposte alle persone, persino alla violenza degli eventi. Nivola prevede, nelle sue opere di ambito pubblico, tutte le ragioni che servono a giustificare un’opera d’arte dentro un contesto: la grandezza, la dislocazione, la scala, la diversa angolazione che offre al visitatore e allo spettatore, il materiale stesso, la sua ruvidità o il suo esser liscio, la porosità della pietra, il colore, la variegata esposizione alla luce cangiante del giorno. Il ruolo che l’opera assume, insomma, nei confronti della persona e del gruppo di persone che la vivono».

UN INTERVENTO su architetture e tessuto urbano nel quale mai Nivola smarrisce connotazione più originale del suo lavoro: vigile coscienza storica e sociale unita a uno sguardo sul mondo in cui hanno un ruolo decisivo natura e forme primordiali dell’immaginazione e del pensiero legate alle culture tradizionali del Mediterraneo. Lo rileva, sempre nei materiali introduttivi al volume, Kevin Moore, senior in fotografia al Massachusetts College of Art and Design: «Anelli riesce a cogliere sia il dinamismo sia l’atemporalità della pratica di Nivola, la sincronicità tra effetti naturali e forme artificiali».
Una linea di ricerca che l’artista di Orani non abbandona neppure quando lavora su commissione per la Olivetti o per la municipalità di New York. Una scelta che fa uniche le sue «opere pubbliche» e che Anelli ha saputo rendere molto efficacemente con un bianco e nero asciutto e rigoroso, in immagini in cui il modernismo di Nivola è colto nel suo aspetto più peculiare: una rigorosa ricerca di equilibrio tra sperimentazione formale e committenza sociale.