È una freccia che attraversa l’arte ai tempi della crisi economica, il lavoro della curatrice Lucrezia Longobardi per i tipi di Castelvecchi, 15 ipotesi per una storia dell’arte contemporanea. Appunti per una lettura del XXI secolo (collana Fuoriuscita, pp. 184, euro 20). Una freccia-ricerca, che pensa mentre saetta, attraversando le domande collettive che l’arte inconsapevolmente rileva, guardando alla disposizione di opere e artisti dall’alto, disvelandone così gli umori comuni, le orme lasciate da quella operazione inconsapevole che è l’irruzione di un’opera nelle trame della storia.

GLI ANNI DIECI sono il terreno di questo carotaggio pluridimensionale, che parte da una riflessione sul generale reducismo che il novecento ha impresso ai primi anni del nuovo secolo per concludersi con lo scandagliamento del lavoro di 15 artisti, corredato, per ognuno di loro, da una riflessione con un critico. La ricerca assomiglia così a un brano polifonico, di quelli dove uno strumento interviene a potenziare la melodia di un altro, per restituire quell’armonia possibile solo attraverso il concorso delle sensibilità e delle intelligenze.

Gran bel punto di partenza il ragionamento sul peso asfissiante dell’eredità nell’arte «nuova» in Italia, dove il peso dei padri ha significato «un essere trattenuti a terra da un sistema patriarcale da cui anche la giovane critica non ha saputo affrancarsi, lasciandosi alle spalle le personalità ingombranti e potenti di Celant e Bonito Oliva». Il libro è lucido nell’analizzare una dinamica che non può essere confinata al mondo dell’arte, ma che caratterizza la generale difficoltà nell’irruzione di un nuovo capace di riformulare i sogni che avevamo sognato per renderli adeguati alla fisionomia di questo tempo, dove l’estrattivismo è diabolicamente penetrato negli sguardi e nelle posture, così da rendere necessaria una continua azione di vigilanza sui propri cuori.

È QUESTA LA RICERCA PROFONDA del lavoro della Longobardi, questo scandagliamento dei tranelli che ci possono riguardare e questo curare, uno per uno i germogli che crescono nel terreno, ancora troppo incolto, di una attività artistica onesta, indagatrice, emancipatrice per la naturale attitudine a fare del sensibile la pellicola ritrattiva del nostro procedere.
In questo tenero pantheon di costellazioni troviamo eventi disseminati nel decennio 2010-2020: la mostra Le Sette Stagioni dello Spirito di Gian Maria Tosatti che ha ri-abitato Napoli non solo nel momento espositivo al Madre, ma lungo un percorso di significanza, occasione visionaria di una moltitudine aggregata senza criteri elitistici, ma solo per ondate di coinvolgimento di organi vitali di questa città oracolare; le performance di Chiara Fumai, scomparsa da pochi anni, «corpo teatrale esibito in conferenze, lezioni, visite guidate o messaggi dittatoriali/politici»; il video di Adrian Paci del 2012, The Column: storia della migrazione di un pezzo di marmo, lavorato nel viaggio su un cargo, oggettivazione di una trasformazione radicale propria di ogni attraversamento di mare, rimembranza bianca del procedere dei migranti.