Un concerto da “mattatori”, con il violino di Renaud Capuçon e il pianoforte di Jérôme Ducros ha entusiasmato l’altra sera il pubblico del Festival delle Nazioni, a Città di Castello, in svolgimento dal 23 agosto, che si concluderà il 3 settembre. E’ la 49^ edizione ed è dedicata alla Francia. Considerato anche che la serata è servita a segnalare le qualità della giovane violista che ha vinto una borsa di studio che annualmente è offerta dal Lions Club locale, questo concerto, per le grandi qualità tecniche del violinista e per la vivace personalità polemica del pianista potrebbe essere Indicato come esemplare del tipo di ricerca che qui si svolge. La vincitrice si chiama Maria Giulia Tesini e ha presentato una pagina per viola di una compositrice inglese del primo Novecento, Rebecca Clarke, in Italia pressoché sconosciuta,ma non così in Inghilterra e negli Usa, stando a quel che cui dicono. Il direttore artistico del festival, Aldo Sisillo, il quale dirige anche le attività del Comunale di Modena, nell’applaudire la strumentista premiata s’è augurato che possa essere di nuovo presente al festival, questa volta come concertista per una serata, l’anno prossimo? Tra due?. Il talento e la preparazione non le mancano.

Certo non è ancora una D’Artagnan dell’archetto come Capuçon, al quale non manca la spavalderia dei cadetti. Nel suo programma c’erano la Sonata n. 2 e Tzigane di Ravel, oltre che la 23 di Mozart e l’op. 18 di Richard Strauss. Dire che dal duo formato da Capuçon e Ducros queste pagine sono state interamente piegate alle intenzioni, ai fini degli strumentisti è semplicemente riconoscere che i protagonisti dell’evento erano gli strumentisti e non gli autori. Forse non c’è nulla da deprecare poiché a giochi fatti rimane il ricordo di una passionalità vera o recitata che sia e rimangono le composizioni che altri potranno leggere con enfasi diverse.

Anni fa Ducros fu protagonista di una polemica antimoderna, antitetica al rinnovamento del linguaggio, probabilmente nemica di Stockhausen, Scelsi, Messiaen e di quanti possano passare come novatori. Disse di aver studiato le nuove musiche, ma di trovarle tutte noiosamente simili e incomprensibili. Probabilmente ci fu un certo applauso attorno alla sua presa di posizione da parte del sonnacchioso pubblico delle sale da concerto, ma le difficoltà di Ducros non provano nulla perché il difficile si presenta spesso assieme al nuovo. Se dovessimo rifuggirne, dovremmo evitate non solo gli scritti di Wittgenstein o di Melandri, ma persino la polemica tra Newton e Leibitz sulle flussioni, per non dire le derivate della relatività.

Ma ci sono molti luoghi comuni che vengono predicati sebbene arbitrari: per esempio che fine dell’arte sia la bellezza, peggio ancora che la bellezza debba caratterizzare i materiali dell’arte: ditelo a Piero Manzoni. Qui, nel Festival delle nazioni, domenica scorsa, l’Ensemble Suono Giallo ha presentato in prima esecuzione assoluta una composizione di Theocharis Papatrechas, condamné à son éternité paralysée, cosciente di lavorare materiali sporchi, detriti, ma piena di vita ritmica, di visionarietà, affatto diversa dalle altre due pagine della serata, di spirito narrativo quieto un po’ come favole, musiche di Giovanni Scapecchi e di Pierre Thilloy. Con un testo di Sandro Cappelletto la seconda, tratto da Zola.