Le navi fatte a pezzi
Mostre Il progetto «A mani nude», realizzato dal fotografo Tomaso Clavarino e dal grafico e giornalista visuale Isacco Chiaf, nello Spazio Make di Udine, per il festival Vicino/Lontano
Mostre Il progetto «A mani nude», realizzato dal fotografo Tomaso Clavarino e dal grafico e giornalista visuale Isacco Chiaf, nello Spazio Make di Udine, per il festival Vicino/Lontano
«La caratteristica principale dello smantellamento navale in Asia meridionale è che avviene sulla spiaggia, nella cosiddetta area tidale – soggetta alle maree – dove c’è un forte impatto ambientale.» – spiega Nicola Mulinaris di NGO Shipbreaking Platform davanti agli scatti in b/n del progetto A mani nude, realizzato dal fotografo Tomaso Clavarino e dal grafico e giornalista visuale Isacco Chiaf, esposti nello Spazio Make di Udine, in occasione del festival Vicino/lontano – «Lì le navi vengono fatte a pezzi da lavoratori che sono per lo più migranti; i materiali tossici vengono rilasciati tanto sulla spiaggia, quanto nell’acqua e nell’aria. All’interno delle loro strutture, infatti, le navi contengono materiali pericolosi come amianto, mercurio, rame; oltre che i policlorobifenili presenti nelle vernici del «cappotto» della nave ed altre sostanze, come petrolio e olii, che non vengono propriamente pulite prima dello smantellamento, finendo per danneggiare l’ambiente e mettere in pericolo la vita dei lavoratori. Tra l’altro solo in Bangladesh il 20% della forza lavoro è costituita da minori di 18 anni.» Negli ultimi 4 anni più di cento navi italiane sono andate a morire sulle spiagge asiatiche. I principali ’cimiteri delle navi’ sono Alang (India), Chittagong (Bangladesh), Gadani (Pakistan); il restante 20% è sparso tra Europa, Stati Uniti, Cina e Turchia. «È un problema che riguarda anche l’Italia con grandi armatori come Grimaldi, Vittorio Bogazzi, Cafiero Mattioli, coinvolti nelle esportazioni illegali.» Un business che, con la complicità dei governi, è alimentato dai milioni di dollari che ruotano intorno alle navi, tra «green washing», bandiere, paradisi fiscali e riutilizzo di pezzi. In attesa del nuovo regolamento europeo sul riciclaggio navale, che entrerà in vigore il prossimo dicembre («ma l’Italia non ha ancora approvato alcun sito di smantellamento sul territorio nazionale») NGO Shipbreaking Platform continua la sua mission di denuncia di «una delle pagine più vergognose della storia marittima internazionale». (m.d.l.)
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