Ormai mancava solo l’ufficialità, che è arrivata nella giornata di ieri (1 febbraio) durante la riunione di gabinetto: il Giappone proporrà le miniere dell’isola di Sado, nelle prefettura settentrionale di Niigata, per l’iscrizione nella lista del patrimonio dell’umanità Unesco.

La decisione arriva nell’ultimo giorno disponibile per presentare le candidature, dopo oltre un mese di discussioni e qualche retromarcia. Il premier Kishida ha dichiarato che il sito rappresenta un’eredità industriale «preservato su larga scala e nel tempo, usando tecniche manifatturiere tradizionali del periodo Edo». Sado infatti è un’importante testimonianza dell’era pre-industriale giapponese e nel ‘600 l’isola era anche una tra le più grandi miniere al mondo per l’estrazione dell’oro.

MA LA STORIA DI QUESTO SITO è tutt’altro che senza macchie. Le miniere hanno continuato a operare per diversi secoli e durante la guerra vennero riconvertite alla produzione bellica. È in quegli anni che le autorità giapponesi, che all’epoca estendevano il proprio dominio coloniale anche sulla Corea, condussero in queste miniere alcune migliaia di coreani per costringerli ai lavori forzati. Da allora, nella memoria storica coreana, le miniere sono legate all’esperienza dolorosa del colonialismo giapponese.

La tensione tra Tokyo e Seul è diventata palpabile subito a fine dicembre, quando l’Agenzia degli affari culturali del Giappone ha selezionato le miniere di Sado come unico sito da proporre all’Unesco per le nuove iscrizioni al patrimonio dell’umanità. Il portavoce del ministero degli Esteri sudcoreano aveva definito «molto deplorabile» la decisione giapponese, promettendo di impedire la registrazione nel patrimonio dell’umanità di un sito che aveva visto migliaia di coreani obbligati a lavorare contro la loro volontà.

 

Una rappresentazione di marionette sulla dura vita dei minatori di Kinzan, nel sito di estrazione dell’oro sull’isola di Sado (foto shutterstock)

 

La storia è un tema molto spinoso per i rapporti tra Giappone e Corea del Sud. Già nel 2015 Seul aveva protestato contro l’iscrizione del sito industriale giapponese di Hashima nella lista Unesco per via dell’impiego durante la guerra di lavoro forzato coreano. La disputa si era chiusa quando Tokyo aveva promesso di inserire all’interno del sito adeguate informazioni a proposito della triste vicenda, ma la memoria storica rimane un problema serio tra i due paesi.

SEUL ACCUSA IL GIAPPONE di non aver mai fatto i conti col suo passato imperiale, mentre Tokyo rinfaccia alla Corea del Sud di aver già risolto tutte le questioni legate alla dominazione coloniale nel trattato di normalizzazione del 1965. Negli ultimi anni questa discrepanza è riemersa più forte che mai, influendo negativamente anche sui rapporti economici e d’intelligence tra i due paesi.
Nel timore che aggiungere un’altra fonte di tensione potesse non essere un’opzione saggia (soprattutto mentre a Seul è in corso una campagna elettorale), il premier Kishida per diverse settimane non si era esposto sulla questione. Anzi, a un certo punto è sembrato che potesse propendere per il rinvio all’anno prossimo.

LA PRESSIONE DELLA DESTRA però si è fatta sempre più incalzante. Un gruppo di parlamentari vicini all’ex premier Abe Shinzo hanno chiesto espressamente a Kishida di ignorare le proteste sudcoreane e di procedere con la candidatura e Takaichi Sanae, a capo del consiglio per le politiche del Partito Liberaldemocratico (a cui il premier appartiene), ha addirittura dichiarato che la situazione «concerne l’onore della nazione». Alla fine, con un’elezione generale in previsione per questa estate, Kishida ha deciso di fare una concessione alla destra e tenere unito il partito, procedendo così con la candidatura nonostante le numerose riserve espresse anche dai funzionari governativi.

LA STRADA VERSO LA NOMINA a patrimonio dell’umanità Unesco però è tutto fuorché scontata. Seul sta già pensando a una task force per contrastare la controversa candidatura giapponese e la riluttanza già dimostrata dal Giappone nel correggere le proprie ricostruzioni storiche non depone a suo favore: a luglio scorso infatti l’Unesco ha determinato che Tokyo non ha ancora fornito sufficienti informazioni sul lavoro forzato coreano nel sito di Hashima come promesso nel 2015. E ciò potrebbe non essere senza conseguenze.

Errata Corrige

La candidatura in extremis del solo sito di Sado, con il premier Kishida pressato da destra, riaccende uno storico conflitto con la Corea del Sud. Seul accusa il Giappone che non fa i conti con il suo passato imperiale. E ha giù giudicato l’idea di proporre nella lista Onu il luogo in cui migliaia di coreani sono stati condotti per lavorare contro la loro volontà «molto deplorabile»