Oci Ciornie è una canzone d’amore, la più popolare in Russia, letteralmente «Occhi Neri», ha dato il titolo al film del 1987 diretto da Michalkov – su soggetto di Suso Cecchi D’Amico, con Marcello Mastroianni e Silvana Mangano. Una contaminazione, una storia-matrioska che a svolgerla ne scappano sempre fuori di nuove e più miniate, per dire: il film è tratto da racconti di Cechov, come La signora dal cagnolino e Anna al Collo. E a questi racconti, oltre che alle scene del film, si ispira la non sfilata di Antonio Marras, lo stilista anomalo, ceramista, assemblatore di stracci e costumista di teatro, che per la prima presentazione live in Italia di una collezione dallo scoppio della pandemia, sceglie la formula della rappresentazione teatrale. Nel suo quartier generale di Milano, l’artista di Alghero, fa salire sullo stage amici, giovani tiktokers, invitati, qualche modello di professione, attori: Ferdinando Bruni, Sandra Toffolati, Giulia Heatfield di Renzi e Edoardo Barbone. Stravaccati nel salotto buono e un po’ tarlato, i protagonisti del tableaux vivant recitano brani anche da Zio Vanja, Tre Sorelle e il Giardino dei Ciliegi.
Gli spettatori girano attorno ai luoghi della rappresentazione, sono loro lo spettacolo in mostra, figure in carosello dentro un carillon. La vita è teatro, dice Cechov, ma non sono ammesse le prove. E via si va in scena impreparati aggrappati a un foglio di appunti come inviati di guerra, dentro i costumi disegnati da Marras, che ha realizzato anche quelli dell’Edipo Re che debutta al teatro dell’Elfo Puccini di Milano il 15 marzo. Tartan, pezze, gonne per tutti, giacche, cardigan, patchwork, collezione uomo e donna mescolate, ogni pezzo e ogni pezza sono intercambiabili e reversibili, si ricicla e si ribalta tutto, economia circolare di tessuti, sensi e sentimenti: facce e stazze di tutti i tipi, abiti da sposa con la veletta, colbacchi e cuffie da aviatore.

SI CAMBIA pelle velocemente e non senza dolore. Le figure sul palco si stiracchiano e si approvano, stupiti delle proprie stesse metamorfosi, tanti Orlando di Virginia Woolf che cambiano genere dentro una galoppata esistenziale attraverso i secoli. Orlando che sosteneva «sono gli abiti che portano noi, e non noi che portiamo gli abiti; noi possiamo far sì che essi modellino perbene un braccio, o il petto, ma essi modellano il nostro cuore, i nostri cervelli, le nostre lingue a piacer loro».

DAVANTI a uno specchio si contorce il performer Cristian Cucco cambiando abiti e corone di carta, è un po’ granduca di Andersen (Il Re è nudo! ma sta meglio così) e un po’ Buffalo Bill del Silenzio degli innocenti. A lato del palco principale l’artista Lucia Pescador interviene pittoricamente su fondi d’archivi di Novecento «per riscriverne la storia con la mano sinistra», cartoline, negativi di foto. Su tutto svolazzano parole d’amore, quella di Ljuba, Misa, Elena, le donne di Cechov già interpretate da sua moglie Olga Knipper, e aleggia Oci Ciornie il canto per gli occhi scuri che a guardarci dentro spunta un’altra matrioska: l’autore del testo originale della canzone russa per antonomasia è infatti ucraino, si tratta del poeta Yevhen Hrebinka. Occhi neri, occhi appassionati occhi infuocati e bellissimi, quanto vi amo, quanto vi temo, di sicuro, vi ho scorto in un momento sfortunato. Da un intellettuale del Paese che Putin vuole senza identità e storia arrivano le parole del canto nazionale russo che, altro colpo di scena, è stato musicato da un italiano. Parallelamente la canzone italiana per eccellenza, O Sole Mio pare venne ispirata al suo autore, Di Capua, da un’alba sul mar Morto, ad Odessa, ma questa è un’altra storia.
Tornando alle note di Oci Ciornie, quelle sono una creazione di Adolgiso Ferraris, novarese che lavorò in Russia, venne accusato di spionaggio da Rasputin, si stabilì in Inghilterra; il figlio ha riportato anni fa alla stampa piemontese un episodio biografico di Ferraris, quello di una promessa d’amore fatta a una donna di San Pietroburgo poi infranta a favore del rinnovato legame coniugale, vicenda che ricalca sorprendentemente la trama del film di Michalkov e dei racconti di Cechov. La vita è teatro.