L’improvviso ritrovamento, una mattina di aprile, dopo una sbronza memorabile, di una carcassa di nutria spellata e semi congelata fuori la porta di casa è sicuramente un avvenimento quanto meno inconsueto, ma certo non un evento di capitale importanza. Eppure è proprio tale accadimento che dà il la al romanzo d’esordio di Andrea Zandomenighi, intitolato appunto Il giorno della nutria e pubblicato di recente da Tunué (pp. 152, euro 16).

DAVIDE ALOISI, il protagonista, infatti, nel corso di una giornata cercherà di capire chi gli abbia fatto ritrovare il cadavere dell’animaletto e per quali ragioni. Intimidazione? Ricatto? Avvertimento? Soltanto alla fine l’enigma troverà una soluzione, in qualche maniera sorprendente eppure di una semplicità disarmante. Ma, soprattutto, il lettore si troverà ad aver attraversato un testo inconsueto e affascinante, divertente e intelligente, tragico e comico, ironico fino al sarcasmo e allo stesso tempo disperato e sprezzante.

La ricerca di Davide per far luce sull’evento si baserà essenzialmente su ragionamenti, congetture e riflessioni e in tal modo chi legge verrà anche a conoscenza della vita del protagonista, sofferente di cefalea tensiva cronica da undici anni, alcolista e consumatore ossessivo di pasticche. Così come sarà edotto anche delle sue abitudini, delle sue letture, dei suoi giudizi spesso trancianti su noti esponenti dell’establishment culturale – e qui si raggiungono forse le vette di comicità più alta, si veda ad esempio la descrizione delle conferenze di Galimberti.
Accanto a Davide, ma filtrati sempre dallo sguardo dell’io narrante, emergono con forza gli altri personaggi che con le loro particolarità compongono l’inusuale microcosmo in cui si muove il protagonista: parenti, amici, una straordinaria figura di prete, una badante fuori dal comune.
Il tutto sullo sfondo di una provincia – il romanzo si svolge essenzialmente a Borgo Carige, frazione di Capalbio – lontana assolutamente da ogni stereotipo. Quello che però colpisce forse di più di questo esordio letterario, denso di idee e di elementi innovativi, è la scrittura.

UNA SCRITTURA dominata dal monologo interiore del protagonista, a metà, quasi, tra I ricordi dal sottosuolo dell’amato – e più volte richiamato all’interno del romanzo – Dostojevski e gli ironici ragionamenti di Ugo Cornia, farcita di elenchi di diversa natura, di digressioni quasi continue, di rimandi insistiti a libri, film, serie tv, caratterizzata da periodi lunghi, a volte contorti, o meglio sinuosi, ma che proprio per queste sue caratteristiche resce ad avvincere, a incollare lo sguardo e l’attenzione del lettore alla pagina.
E tra citazioni e riferimenti a Il signore degli anelli piuttosto che al ciclo di Dune di Frank Herbert o a Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin, a The dreamers (libro e film) piuttosto che al pozzo di Democrito o ai demoni di Lovecraft, il testo va avanti, muovendosi tra eventi passati e presenti, giocando seriamente con le parole e avvolgendo il lettore nella sua malìa.