Tra i lavoratori metalmeccanici torinesi la legge delega su cui Matteo Renzi ha messo la ventiquattresima fiducia del suo governo si chiamerebbe «man leva», cioè mano libera e di solito la chiedono i «padroni», oops! scusate gli imprenditori, quando vogliono mano libera e troncare ogni ulteriore rivendicazione. Il voto più potente che un esecutivo può chiedere a un’assemblea parlamentare è la fiducia. Ma l’altro ieri è stata chiesta su un testo che è una cornice di annunci, agghindata dalle dichiarazioni d’intenti politici del ministro Poletti. Una delega in bianco che il governo riempirà a suo piacimento nei prossimi mesi. Infatti i principi e i criteri direttivi della delega sono rimasti pochi e liquidi nel maxi emendamento del governo, che ha nella sostanza modifiche minime rispetto al testo precedente. Questo determinerà che i decreti legislativi, nel corso della loro applicazione, potranno essere fatti oggetto di numerosi ricorsi alla Corte costituzionale per eccesso di delega e genericità o assenza di principi e criteri direttivi.

Però nel maxi emendamento sono state aggiunte delle mele avvelenate e la più pericolosa riguarda il demansionamento: dopo un generico richiamo «alla necessità che nelle revisioni della disciplina delle mansioni si contemperi l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche» è stata inserita la previsione che i sindacati maggiormente rappresentativi a livello nazionale possano individuare altre ipotesi di demansionamento nella contrattazione di secondo livello. Un’estensione della norma ad aziendam che l’allora ministro Sacconi fece per la Fiat consentendole di applicare il contratto aziendale al posto di quello nazionale con l’art. 8 della manovra dell’agosto 2011. Articolo 8 che la coalizione Italia bene comune si era impegnata a sopprimere.

Ci sarebbe da sorridere se non ci fosse da piangere. Anche in passato si è fatta una cosa simile, prevedendo la derogabilità ai contratti nazionali con la contrattazione di secondo livello solo se fatta dai sindacati maggiormente rappresentativi. Poi con una modifica successiva è stato stabilito che può farlo qualunque sindacato, quindi anche quelli di comodo. Il sospetto è che l’esecutivo, di fronte alla crisi e ai vincoli europei che non si mettono in discussione, se non a parole, a partire dal 3% e dal pareggio di bilancio, voglia prendere tempo, perseguendo l’obbiettivo della riduzione del salario reale attraverso lo smantellamento del contratto nazionale, il demansionamento, la licenziabilità e la ricattabilità dei lavoratori nella speranza che questo attragga investitori che se dovessero arrivare a queste condizioni sarebbero più avventurieri che imprenditori. Imprese vere come Wolkswaghen e General Electric hanno investito in Italia senza chiedere svalutazioni del lavoro. Quali sono gli investitori stranieri che chiedono il taglio dei salari e dei diritti? Quali promesse ha fatto il governo a questi presunti investitori, se esistono? Le tre T, Termini Imerese,Taranto e Terni rappresentano lavoratori che aspettano certezze, non lettere di licenziamento. Perché non si applicano a Terni i contratti di solidarietà conquistati dai lavoratori Electrolux e vantati anche dall’esecutivo nel Jobs Act?

L’allargamento degli ammortizzatori sociali non è certo né definito, non si sa neanche a chi, a quanti e per quanto tempo sarà riconosciuto. Soprattutto rischia di essere alternativo sottraendo finanziamenti alle casse in deroga che in questi anni, con molte contraddizioni, hanno spesso garantito l’ultimo sostegno al reddito prima del licenziamento o l’ultima speranza di un salvataggio industriale prima della chiusura dell’impresa. Per non parlare del varco aperto sulla cittadinanza nei luoghi di lavoro dal controllo a distanza. I molti contratti con cui si accede oggi al lavoro, prevalentemente precario, al momento restano tutti, a partire da quelli oggi più convenienti per le imprese, i contratti a termine versione Poletti che sono la vera riforma del mercato del lavoro. Il contratto a tutele crescenti si presenta, ad oggi, aggiuntivo ai contratti esistenti senza definire quali devono essere le tutele, per chi e fino dove si estendono. Ciò che resta dell’art. 18 non può essere definito per causali disciplinari specifiche che sarebbero comunque la limitazione del diritto al reintegro di fronte a un licenziamento ingiustificato. I diritti se si dividono scompaiono, non si moltiplicano.

Il cambiamento non è mai neutro e se si pensa come ha detto Renzi da Del Debbio che «se un imprenditore per motivi suoi deve fare a meno di un persona non è che poi lo si può convincere a farlo restare…». Quel cambiamento è contro il lavoro e i lavoratori ed per questo che il gesto del senatore Tocci è un gesto da galantuomini che merita rispetto e forse avrebbe avuto bisogno di tutta la forza dei laburisti del Pd. Gli scioperi di questi giorni e la manifestazione del 25 Settembre della Cgil si faranno sentire e sbaglia chi li sottovaluta, non sono Twitter ma uomini e donne in carne ed ossa che si mettono in movimento e noi saremo con loro per il cambiamento che aggiunge diritti e tutele a tutte e a tutti senza togliere la dignità a nessuno.