La lettura dell’intervista sulla direttiva copyright pubblicata ieri dal Corriere della sera fa venire un dubbio: il sottosegretario con delega all’editoria Crimi conosce davvero il testo votato dal Parlamento europeo? Senza offesa, ma non sembrerebbe dalle risposte rilasciate. Infatti, un articolato deboluccio e segnato da diversi rischi per la libertà della rete un merito pure ce l’ha. Vale a dire aver disegnato qualche confine e un po’ di limiti nel e sul territorio degli Over The Top. Gli oligarchi digitali dovranno assumersi la responsabilità di «editori», con obblighi finora sconosciuti. Oggi, infatti, maramaldeggiano tranquillamente cannibalizzando i produttori di informazione e di contenuti senza pagare pegno. Con la direttiva il capitolo dell’egemonia è tutt’altro che risolto, ma quanto meno viene tematizzato. Ora si apre un periodo di sano conflitto in vista dei recepimenti nazionali. Tuttavia, lassù un calcio è arrivato e il potere negoziale delle parti deboli del sistema guadagna qualche punticino. Insomma, Crimi è sembrato riprendere una certa vulgata ossessiva propagata proprio dai nuovi zar. E la prova viene dall’affermazione alquanto incauta sul possibile baratto tra remunerazione e «condivisione» dei dati. Slogan sentito in certi ambienti e da certe lobby. Dati eventualmente «concessi» dai signori della cittadella celeste ai paria della periferia. E no.

Il punto chiave di tale vicenda è la lotta, ancora irrisolta ma messa a fuoco, tra protervia autoritaria e sacrosanto esercizio dei diritti. La rete, che pare stare a cuore al Mov5Stelle, non è e non deve essere la riproduzione con altre tecniche del modello dei trust della vecchia televisione. Pochi padroni e molte briciole. Ancora. Crimi si erge a tutore dei «piccoli». Già, a corrente alternata. Con quale faccia ci si mette la maschera di Robin Hood la mattina, per cambiarla il pomeriggio con quella di Dracula? Vittime designate le testate giornalistiche indipendenti, come il manifesto, cui si vuole tagliare la manciata di risorse pubbliche di cui dispongono. I piccoli editori da tutelare se li sceglie il governo? In verità, i colossi di Internet apparentemente criticati e temuti non sembrano estranei all’immaginario dell’attuale maggioranza che cita spesso Google, ad esempio, come un utile compagno di viaggio. Non sarà un caso se di tutto questo, che pare ora all’improvviso preoccupare Crimi, non si sia parlato lo scorso lunedì nella sessione di apertura degli Stati generali dell’editoria. Curioso no? Alla vigilia del delicato voto dell’assemblea di Strasburgo, se il giudizio del governo sulla direttiva fosse stato così aspro un urlo battagliero si sarebbe sentito in una sede così ufficiale. Non solo. Nelle sedi ristrette che hanno discusso e varato il testo approvato che ha fatto e sostenuto l’esecutivo italiano? A parte un nobile «no», che ha il sapore della lavata di coscienza se non si accompagna a proposte alternative. Di cui, per l’appunto, non si è avuto traccia alcuna nei recenti Stati generali, almeno per ciò che si sa. Caro Crimi, se vuole essere credibile e davvero vuole schierarsi tra Davide e Golia, adotti una moratoria sui tagli che ha deciso. Altrimenti è cattiva propaganda. La fase del recepimento della direttiva è l’occasione per operare un ripensamento operoso.