Le «madri nella crisi» resistono sul tetto del Policlinico
Da lunedì 1 luglio un centinaio di donne è salito sul tetto del Padiglione Alfieri del Policlinico di Milano. Sono le «madri nella crisi» e non hanno intenzione di scendere […]
Da lunedì 1 luglio un centinaio di donne è salito sul tetto del Padiglione Alfieri del Policlinico di Milano. Sono le «madri nella crisi» e non hanno intenzione di scendere […]
Da lunedì 1 luglio un centinaio di donne è salito sul tetto del Padiglione Alfieri del Policlinico di Milano. Sono le «madri nella crisi» e non hanno intenzione di scendere fino a quando – dicono – non riavranno indietro il loro posto di lavoro. Hanno organizzato un presidio permanente con tende e sacchi a pelo sul tetto dell’ospedale dove hanno lavorato come operatrici socio-sanitarie per anni, in alcuni casi anche venti. Le «madri nella crisi» sono lavoratrici interinali con contratti di somministrazione rinnovati, mese per mese, man mano che si avvicendavano le diverse agenzie. Il loro contratto a chiamata è ancora in vigore e non hanno ricevuto nessuna lettera di licenziamento. Il telefono però non squilla più. Dal primo di luglio le madri sono rimaste a casa. Solo 17, tra quelle che già lavoravano, sono state assunte con un concorso indetto dall’azienda ospedaliera. La selezione avrebbe dovuto riguardare 29 operatori socio sanitari.
Da febbraio sono state assunte 92 persone. Rosanna, una delle lavoratrici sul tetto, sostiene che la selezione non ha preso in considerazione i precedenti anni di lavoro precario, intermittente e senza diritti, oltre all’età anagrafica e alla condizione sociale. È stato assunto personale esterno, mentre le altre assunzioni non hanno rispettato la graduatoria esistente. Le madri chiedono trasparenza su questo punto.
Per la maggior parte sono donne da sole o con il marito disoccupato e con figli a carico. Molte di loro sono straniere. Alcune restano fisse sul tetto, altre fanno la spola tra il banchetto all’ingresso e le azioni di sensibilizzazione messe in campo ogni giorno. Sabato 25 giugno hanno partecipato a Roma al corteo del controsemestre popolare contro Renzi e l’Unione Europea. Mercoledì scorso in una ventina si sono incatenate davanti all’Expo Gate. Un luogo simbolico- spiegano- perchè diventerà un laboratorio di precarietà. Da giorni i delegati Usb chiedono l’apertura di un tavolo. Chiedono al Prefetto di trovare una soluzione.
Giovedì 3 luglio le madri hanno occupato l’ingresso del Pirellone. Dopo qualche spintone, una di loro, è finita all’ospedale con una prognosi di una settimana. Alla fine sono riuscite ad entrare e i rappresentanti sindacali sono stati ricevuti da Fulvio Matone, il direttore generale dell’Agenzia regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro. Un nuovo incontro si terrà tra una settimana, questo è il tempo che il funzionario si è preso per valutare la richiesta di trovare una soluzione alla crisi occupazionale e rispettare la trasparenza sui processi di selezione in vista del potenziamento dei servizi sanitari durante Expo 2015.
Ieri, in concomitanza con la presentazione del libro bianco sulla sanità con il presidente della regione Roberto Maroni è stato organizzato un picchetto fuori da Palazzo Lombardia. «Andiamo avanti- dicono le lavoratrici, alcune sul tetto hanno portato anche i loro figli- non abbiamo niente da perdere». Dicono di essere andate a lavorare in reparto anche quando erano ammalate o fino al settimo mese di gravidanza, un evento non contemplato dal loro contratto.
Mario Mantovani, assessore regionale alla Sanità, mantiene il silenzio. Giovedì le madri sono riuscite a ottenere un incontro a Palazzo Marino con gli assessori comunali Cristina Tajani (lavoro) e Pierfrancesco Majorino (politiche sociali).
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