Bisogna dare atto al governo Meloni di una particolare forza di volontà, che non teme alcuna vergogna. E portabandiera si può riconoscere, anche per il posto che occupa, il ministro della «cultura» Sangiuliano. Un uomo forte evidentemente, delle proprie idee e convinzioni, che da piccolo deve aver giocato molto (se si può usare una immagine indicativa) con i soldatini e le guerre di conquista.

Ora che dalla direzione di un tg (quello della rete 2 Rai) non particolarmente seguito né accattivante, si ritrova ministro della cultura nazionale, deve sentirsi letteralmente, come si diceva da bambini, «a cavallo». E terre di conquista sono i fortini che fino ad ora non era evidentemente mai riuscito a conquistare (o forse neanche frequentare): quelli culturali. Ma proprio in questo campo, finirà col riabilitare (rimpiangere sarebbe troppo, per tutti) il suo predecessore Franceschini.

QUINDI le istituzioni culturali si trovano ad essere terreni e patrimoni di conquista, insieme a operazioni più limitate ma non meno curiose, come il vanto di aver fatto arrivare un treno veloce da Roma a Pompei, nuova caput mundi di un paesaggio non proprio inesplorato… Forse ha guardato troppo qualche film in cui si vedeva un treno sferragliante arrivare tra gli «indiani». Non si può negare del resto che la sua marcia proceda implacabile, come se in un film neorealista un personaggio, fino ad allora perdente, gridasse a un certo punto «ora glielo faccio vedere io!». Con metodo, e senza dover rendere conto a nessuno, ha così cominciato con l’istituzione geograficamente più vicina, il museo di arte contemporanea Maxxi di Roma. Qui la ragnatela veltroniana aveva affidato la direzione a Giovanna Melandri, che però col tempo e con l’esperienza di chi la circondava, una identità a quello spazio è riuscita a darla. È stata immediatamente sostituita, ex abrupto, da Alessandro Giuli, giornalista di cui si conosceva solo il quieto conservatorismo nei talk show televisivi.

La redazione consiglia:
Destra e cultura, occupare ma per fare cosa?Il colpo più grosso il ministro Sangiuliano l’ha sferrato poi, poche settimane fa, all’istituzione culturale italiana più conosciuta nel mondo, la Biennale di Venezia. Alla scadenza del mandato del presidente Ciccutto, affabile e coltissima personalità cosmopolita (di professione produttore cinematografico, di film anche piuttosto importanti, da Olmi in giù) arriverà Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore cresciuto tra Fronte della gioventù, Movimento sociale e altre entità di estrema destra, ma approdato di recente niente meno che ad un Panegirico dell’arcitaliano Silvio Berlusconi.

Il ministro della cultura Sangiuliano

QUESTA SETTIMANA però il ministro Sangiuliano ha voluto superarsi, sferrando il colpo più «crudele» a quella che lui immagina come egemonia della sinistra sulla cultura. Ha nominato infatti al cda del Piccolo teatro di Milano Geronimo La Russa. Avvocato, 43 anni, figlio del presidente del Senato, il cui nome di battesimo evoca gli indiani di cui si diceva prima, e il cognome una fedeltà ad un passato di destra estrema contro il quale proprio il Piccolo era nato. Si sa che nel 1947, condividendo con Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Nina Vinchi la necessità di una istituzione teatrale radicata nella cultura e nella città, il sindaco Greppi affidò alla nuova istituzione quasi il compito di «esorcizzare» quella sede di via Rovello dove i repubblichini di Salò avevano interrogato, seviziato e massacrato oppositori e antifascisti. In quel segno è nato il Piccolo teatro di Milano, istituzione che i fondatori hanno poi reso grandissima per i decenni successivi. Il cui fine era la cultura ma anche, e insieme, la crescita di una città, la lotta contro ogni tirannia, la scoperta di nuove potenzialità dell’arte a confronto con nuove generazioni di spettatori/cittadini. Un nuovo umanesimo che voleva ripulire la società dalla scia di guerra e di sangue lasciata dal fascismo. Una funzione che ebbe la clamorosa «benedizione» di Bertolt Brecht in persona, quando poco prima di morire venne nel 1956 ad assistere (entusiasta) alla regia di un suo testo messo in scena da Strehler al Piccolo.

GIÀ IN BASE a questi pochi elementi, il ministro Sangiuliano dovrebbe spiegare il perché dei nomi scelti. Non perché Geronimo La Russa non abbia i diritti di ogni altro cittadino, ma perché dal suo ampio curriculum non emergono elementi che lo avvicinino al teatro, alla sua comprensione, alle sue esigenze, alle scelte e ai conti di cui dovrà occuparsi.
Non è detto certo che nel cda debbano stare attori o artisti e nemmeno manager o produttori, quanto piuttosto esperti di finanza, è ovvio. Ma certo, per poter gestire un campo così delicato come la cultura, in particolare teatrale, dovrebbero almeno avere una certa pratica da spettatori, per essere in grado di valutarne il valore, le scelte, i conti. Nel curriculum del consigliere nominato emergono altre affinità, che forse non sono tanto relazionabili al teatro. Emerge il nome certo, e se è vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, è altrettanto notorio che la visione del mondo di papà La Russa sembra coltivare piuttosto altre affinità.Per poter gestire un campo così delicato bisognerebbe almeno avere una certa pratica da spettatori, per essere in grado di valutarne il valore, le scelte, i contiForse per questo la nomina suona «sinistra» (non in senso storico e naturale, of course), che ha solo il sapore sanguinario di quel rovesciamento vendicatore di valori universalmente riconosciuti, cui il ministro Sangiuliano sembra applicarsi, quasi avesse trovato la sua nuova ragion di vita. Ma per «rovesciare» di senso le cose e le istituzioni bisogna conoscerle in profondità. Senza rifarsi alla rivelazione degna proprio di un Premio Strega, per i cui concorrenti il ministro ha votato senza averli letti. Ma sarebbe allora da nominare Geppi Cucciari direttrice dei teatri nazionali. Allora sì che il ministro ci stupirebbe positivamente!