«Nel detto anno 1250, essendo Federigo imperadore in Puglia nella città di Fiorenzuola a l’uscita d’Abruzzi, si amalò forte, e già del suo aguro non si seppe guardare, che trovava che dovea morire in Firenze, e come dicemmo adietro, per la detta cagione mai non volle entrare in Firenze, né in Faenza; ma male seppe interpetrare la parola mendace del dimonio, che gli disse si guardasse che morrebbe in Firenze, e elli non si guardò di Fiorenzuola». Così il cronista fiorentino Giovanni Villani racconta, a circa un secolo di distanza, di una profezia sulla morte dell’imperatore Federico II di Svevia.

LA STORIA, che circolava ampiamente, era stata riportata per iscritto la prima volta da un altro cronista, Saba Malaspina, vescovo di Mileto, verso la fine del Duecento nella sua Rerum Sicularum Historia. L’autore della profezia sarebbe stato Michele Scoto, intellettuale attivo alla corte dell’imperatore, il quale in gioventù gli avrebbe predetto una morte «sub flore». Da allora, Federico aveva cercato di evitare di sostare in tutti i luoghi il cui nome contenesse quella parola o da essa derivasse, come Firenze. Inutilmente, è ovvio. Si tratta dell’adattamento al contesto storico italiano di una storia molto più antica, quella dell’appuntamento con la morte, che ha trovato nei secoli numerosi rifacimenti in ambiti diversi.

Per noi, potrebbe essere l’esemplificazione perfetta del nuovo libro di Glauco Maria Cantarella, Imprevisti e altre catastrofi. Perché la storia è andata come è andata (Einaudi, pp. 198, euro 26). Un libro che, presentando una serie di episodi soprattutto ma non solo medievali, vuole riflettere sul tema della ineluttabilità della storia (passata, non futura), in aperta polemica con la storia controfattuale oggi di moda.

Gli episodi (o i personaggi) scelti da Cantarella (fra i quali non può mancare proprio la morte improvvisa di Federico II a 56 anni) sono di quelli che hanno lasciato il segno: dalle morti di Alarico e Attila a quella della zarina Elisabetta. Dalla battaglia di Adrianopoli a quella di Waterloo. Non mancano tuttavia anche eventi in apparenza meno importanti: «Hohenmölsen: chi ha mai sentito fare questo nome – chiede Cantarella – a parte gli specialisti di storia dell’impero e della Chiesa romana dell’XI secolo». Pochi, in effetti, nonostante si sia trattato di un episodio incisivo nella storia della cosiddetta «lotta per le investiture». Fa parte di uno fra quegli imprevisti cui si riferisce il titolo del libro: che nella storia esistono, sono importanti (come le catastrofi), e ci aiutano a spiegare come mai le cose sono andate in un modo e non in un altro.

È QUESTO TIPO di analisi delle variabili, davvero infinite, di cui si compongono la storia passata e quella presente, a contare davvero dal punto di vista metodologico. Mentre è bene lasciare, sembra dirci Cantarella, i «cosa sarebbe successo se…» alla fantascienza, o magari a certa storiografia anglosassone che oggi ha il vento in poppa. Ovvio il rimando alla «storia virtuale» di Niall Ferguson, che ha avuto grande seguito e grande successo. Si può essere d’accordo o meno, si può pensare che l’ucronia sia l’ultima frontiera della metastoria, e dunque giudicarne l’opportunità in base a ciò che si pensa della storiografia postmoderna. Ma il punto di vista di Imprevisti e altre catastrofi è chiaro, la sfida è lanciata.