Mentre Salvini si rivolge da Milano alla destra d’Europa, Di Maio si dice «preoccupato per l’ultradestra in Europa». La preoccupazione non gli impedisce di assicurare che della lealtà del leghista lui «non ha mai dubitato» e che il governo andrà avanti altri 4 anni. Il ringhioso replica che in quella piazza ci sono solo «estremisti del buon senso». Ma anche lui giura che il governo non deraglierà: «C’è la Lega a garantire la stabilità».

Dopo giorni di botte da orbi i due vicepremier hanno sensibilmente abbassato i toni. Lo stesso Di Maio accosta alla preoccupazione per la destra quella per «chi ha chiesto l’austerity in Italia». Di insulti non ne volano, persino gli accenni al duello sui decreti reciprocamente bloccati al cdm che si riunirà (forse) domani latitano. Pochi strilli sulla Sicurezza bis da parte del leghista o sul dl Famiglia da parte del socio, le rispettive bandiere elettorali da sventolare nell’ultima e cruciale settimana prima del voto. C’è un solo problema, un unico scoglio insuperabile confessa Di Maio: «Con la Lega possiamo andare d’amore e d’accordo. L’importante è che sulla corruzione il governo deve essere intransigente». Traduzione: «Non si pretenda di avere indagati nel governo». È un’affermazione che dice più di quanto non sembri al primo ascolto. Se ci si chiede perché il duello mimato della prima fase della campagna elettorale sia degenerato in una guerra tanto reale da minacciare la sopravvivenza del governo dopo il voto, la risposta va probabilmente cercata proprio nell’ombra della corruzione. Dopo il caso Siri, mentre si moltiplicavano le voci di una nuova ondata di indagini, il leader 5S si è reso conto di non poter reggere la collaborazione con un partito sospetto di coprire i corrotti. La sua base elettorale può perdonare «l’ultradestra» e i migranti respinti. Non perdonerebbe l’alleanza con un partito che difende i politici anche solo sospetti di corruzione, perché solo quello, in definitiva, è il mastice che tiene insieme il Movimento.

La denuncia della «nuova tangentopoli» risponde certo all’opportunità di spostare il confronto sul terreno più propizio ai 5S, quello dove possono recuperare meglio l’enorme svantaggio iniziale. Ma non c’è solo questo. L’accettazione da parte della Lega di una linea rigidissima sugli indagati per corruzione è per i 5S condizione irrinunciabile, senza la quale non riuscirebbero più a sostenere l’alleanza di fronte alla loro stessa base.

Per Salvini piegarsi al diktat non è facile. Non con il rischio che l’iscrizione nel registro maledetto arrivi a toccare i vertici del Carroccio. Nonostante i toni contenuti di ieri quella mina non è disinnescata. I 5S lo sanno. L’improvvisa sterzata europeista, forse, deriva proprio dalla necessità di creare le basi per possibili alleanze parlamentari: necessarie, se si arriverà all’esplosione, per evitare un voto immediato che per Di Maio sarebbe letale.