Valeria ha l’età delle sorelle Giovanna e Giulia Bellelli, nel ritratto di famiglia dipinto da Degas a Napoli poco dopo la metà del XIX secolo, ma appare come una Madonna rinascimentale. Di quelle a cui l’angelo ha appena annunciato la sua missione divina, con le mani in grembo e lo sguardo oltre. Un’immagine antica in cui il volto e le mani escono dal buio, stabilendo una continuità iconografica che attraversa i secoli. Ulisse Bezzi, novantenne di San Pietro in Vincoli l’ha scattata nel 1969. Una foto emblematica che sancisce il legame fortissimo che lega il contadino-fotografo al territorio, come si vede nella mostra Ho avuto per maestri i miei occhi, che presenta ritratti esposti per la prima volta al SI Fest 25 di Savignano sul Rubicone (9-25 settembre). Per sessant’anni Bezzi non ha fatto altro che coltivare pere, mele e pesche, insieme alla grande passione per la fotografia con cui ha raccontato il suo mondo, sviluppando i negativi e stampandoli da sé nel bagno di casa. Nel 2015 un gallerista newyorkese (Keith De Lellis) scopre il suo lavoro esponendo un nucleo di vintage anni ’50-’60. Certamente, il confine spazio-temporale di queste immagini oltrepassa i limiti di una fotografia di genere dal gusto nostalgico, contemplando la metafora come suggerisce il titolo stesso del festival fotografico più longevo d’Italia (nato nel ’92 dalla collaborazione del Circolo Fotografico di Savignano con Lanfranco Colombo), che per questo appuntamento prende in prestito la celebre frase pronunciata da Cesare nel 49 a.C.: Alea iacta est. Il confine e il suo superamento.

Ulisse Bezzi, Valeria, 1969

A definirne il programma, che nelle giornate inaugurali (9-10-11 settembre) è animato da letture portfolio, workshop e incontri in giro per la città vivacizzata dalla Notte Bianca, è un comitato artistico composto da addetti ai lavori di grande professionalità – Silvia Camporesi, Alessandra Capodacqua, Danilo Montanari, Luca Panaro – coordinato da Paola Sobrero, sotto la direzione generale di Stefano Bellavista. La sezione OFF è curata da Tomas Maggioli e Federica Landi. Immancabile presenza quella di Guido Guidi, noto per la sua ricerca sistematica sul paesaggio marginale attraverso una fotografia approfondita nel suo «aspetto mentale», autore del progetto Una Ricognizione, Torri dell’acqua in Romagna (prodotto dal festival per il 50° anniversario della società Romagna Acque) in cui sono coinvolti i fotografi Mattia Sangiorgi, Emanuele Benini, Mario Beltrambini, Nicola Biondi, Sauro Errichiello e Antonello Zoffoli.

Tappa del Premio Portfolio Italia, il festival romagnolo ospita Corrispondenze, un delicato lavoro sulla memoria di Ilaria Abbiento (vincitrice dell’edizione 2015), insieme a From 7 to 7, sui single over trenta fotografati in uno specifico arco temporale da Michela Benaglia (Premio SI Fest 2015) e il progetto sull’Armenia L’inachevé di Julien Lombardi (Premio Marco Pesaresi 2015), a cui si aggiunge la mostra curata da Camporesi per i 15 anni del Premio Pesaresi, dedicato al fotografo riminese scomparso prematuramente nel 2001, nonché la selezione per A secret about a secret del collezionista-gallerista Marco Antonetto, con pezzi che mappano la storia del linguaggio fotografico attraverso autori come Stieglitz, Arbus,

Friedlander, Ghirri, Ruff. S’interroga sul concetto di utopia, sconfinando in una realtà densa di simboli, il giovane e pluripremiato fotografo russo Danila Tkachenko con il lavoro Restricted Areas in cui – attraverso il bianco sospeso della neve – svela le tracce visibili dell’impero militare sovietico, dalla seconda guerra mondiale alla caduta dell’Urss. Sotto il nome di progresso, con cui si giustificano catastrofi nucleari immani, quelle tracce diventano quasi reperti archeologici cristallizzati nell’oblio di un «inverno ideologico».

All’opposto c’è la visione estiva di Olivo Barbieri che in Adriatic Sea (Staged) Dancing People 2015 porta lo sguardo in un mare azzurrissimo in cui le persone reali, fotografate dall’alto durante un volo in elicottero, assumono le sembianze di modellini. Eppure sono in carne ed ossa, ballano, ridono, nuotano traducendo l’idea stessa del ricordo di una giornata vacanziera, anche quando il fotografo – giocando sul doppio – trasforma in postproduzione i corpi in sagome bianche. Presenti al SI Fest 25 anche i lavori di Paola Di Bello, Luigi Erba, Fabio Sandri, Giuseppe De Mattia/Home Movies, Albert&Verzone, Jan Van Der Donk con la sua collezione di libri e rarità, nonché Andrea Modica, autrice dell’icona del festival, con la mostra As we wait (a cura di Larry Fink).

A sottolineare l’impronta internazionale, un ospite d’eccezione come lo statunitense Duane Michals con Dr. Duanus (a cura di Enrica Viganò) che, rendendo omaggio ad artisti da Blake a Magritte, scardina con irriverenza i luoghi comuni della fotografia – a cui si approccia da autodidatta alla fine degli anni ’50 – allargando i confini di una visione del reale univoca e introducendo la scrittura come parte imprescindibile del racconto.