Le grandi storie della moda si sono sempre scritte in due. Fino a qualche tempo fa, almeno. Cioè fino a quando a scrivere capitoli di storia, stagione dopo stagione, c’erano due autori: un capitano d’azienda che sapesse mettesse a posto i conti facendo miracoli di alchimia anche quando le vendite non giravano nel verso giusto, e un creativo ricco di fantasia e di fantasmi mentali che prendevano forma prima su un foglio bianco e poi sui tessuti. Il segreto era che entrambi gli autori avevano una competenza e una passione per la moda che poteva superare qualsiasi controversia.

Per esempio: Gabrielle Chanel è diventata grande quando i conti li ha tenuti Pierre Wertheimer, suo socio e poi unico proprietario del marchio. Così come Yves Saint Laurent, tra una depressione e l’altra, ha potuto tranquillamente costruire la moda che dal 1958 e arriva fino a oggi perché Pierre Bergé, suo socio e compagno di vita dall’inizio fino al 2008 quando Yves è scomparso, gli risparmiava ogni preoccupazione economica che riguardasse l’azienda che avevano fondato.

Lo stesso dicasi di Valentino, affiancato dal suo compagno di vita Giancarlo Giammetti e di Giorgio Armani che ha cominciato a scrivere la sua storia affiancato da Sergio Galeotti. E via via, fino ai tempi più recenti quando Tom Ford con Domenico De Sole ha scritto l’irripetibile success story della rinascita di Gucci e Miuccia Prada ha portato il marchio di alta pelletteria di famiglia nelle attuali dimensioni globali di massimo riferimento della moda internazionale affiancata dal marito Patrizio Bertelli.

Con la crisi degli Anni 90 si è preteso che i designers fossero governati dal marketing, fino a diventare loro stessi dei marketing manager creativi. Il che ha portato all’attuale prevalenza dello styling sullo stile, alla frustrazione dei veri creativi e alla trasformazione della figura degli Amministratori Delegati, ora per lo più provenienti dal mass market, in inventori di borsette e accessori che, in più, impongono ai designer di inserire nelle collezioni capi che secondo loro saranno i best seller di stagione. E se questo va a scapito dell’evoluzione della moda, e spesso anche a detrimento del buon gusto, poco importa: sono comunque prodotti che innalzano i fatturati a livelli giganteschi. In questo senso vanno letti alcuni fra i tanti avvenimenti degli ultimi tempi. L’anno scorso, dopo 15 anni Nicolas Ghesquière ha lasciato Balenciaga per dichiarati dissensi con il management e qualche giorno fa Jil Sander ha lasciato il suo marchio per la terza volta da quando l’ha venduto nel 1999, mentre Christopher Baily, direttore creativo di Burberry, è stato da poco nominato anche CEO del marchio. Da una parte, quindi, c’è l’incompatibilità tra creativo e management, dall’altra l’estrema coincidenza dei due ruoli.

Eppure, Yves Saint Laurent diceva di osservare il mondo da una finestra ma ha rivoluzionato la moda. Da quando i creativi sono uomini di marketing la moda cita se stessa in un ciclo continuo.

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