Cos’è il Rossini Opera Festival 2015? 34 cantanti solisti, 2 orchestre, 4 pianisti, 1 arpista, 1 coro con relativo maestro, 5 direttori, 5 registi, 4 scenografi, 4 costumisti, 3 lighting designer e una pletora di figuranti e maestranze. Un nuovo allestimento (La Gazzetta), due riprese (La gazza ladra, 2007; L’inganno felice, 1994), il consueto Viaggio a Reims dove si esibiscono i giovani dell’Accademia Rossiniana, lo Stabat Mater accompagnato dalle danze del Guillaume Tell (sul podio la gloria locale Michele Mariotti), la settima e ultima sessione dei meravigliosi Péchés de vieillesse, tre concerti di belcanto (Chiara Amarù, Olga Peretyatko, Nicola Alaimo) e un concerto d’arpa. Com’è il Rossini Opera Festival 2015?

Alla sua trentaseiesima edizione, la ricetta in cui la riproposizione di ciò che è noto e canonizzato dal tempo si mescola intelligentemente con la scommessa sull’ignoto, di solito in rapporto 2 a 1, è ormai collaudata e vincente. Quest’anno le proporzioni sono state invertite in 1 a 2: la crisi? Poco importa, se il risultato complessivo, sotto la solida direzione artistica di Alberto Zedda, è ben proporzionato, descrivendo un percorso nella produzione «semiseria» di Rossini dalla maturità alla prima giovinezza.

Un’apertura di stagione en grandeur il 10 agosto all’Adriatic Arena (un teatro dall’acustica sorprendente che ogni anno viene montato e smontato all’interno del palasport) con La gazza ladra, «melodramma» tragicomico in due atti (libretto di Giovanni Gherardini, indimenticabile traduttore del Corso di letteratura drammatica di A.W. Schlegel, di cui confutò i severi giudizi su Metastasio, Alfieri e Goldoni; ventesima opera di Rossini: Milano, 1817).

La regia è dell’eccentrico Damiano Michieletto (scene di Paolo Fantin, costumi di Carla Teti e luci di Alessandro Carletti), che con rara chiarezza mette a fuoco il carattere astratto dell’opera, priva di ogni tempo e luogo che non siano quelli del teatro puro: tanto è spinta l’allegria dei momenti lieti, tanto è caricata la violenza senza freno di un potere non spiegato, tanto è pretestuosa la presenza della gazza, che la storia mostra la gratuità e la violenza onirica che sostanzia da sempre il teatro occidentale.

Così lo spazio scenico è un gioco astratto di cilindri nel vuoto che, variamente combinati, assolvono ogni funzione, talvolta con effetti vertiginosi talaltra claustrofobici, e la vicenda è il sogno di una ragazzina (la ginnasta Sandhya Nagaraja) che lo vive nella parte della gazza (nell’ouverture, annodata a un lenzuolo sospeso, fa l’altalena sopra l’orchestra e per tutta l’opera è presente, non vista dai personaggi che si disperano e alla fine la minacciano, costringendo la ragazzina al risveglio). Unico dato realistico: l’acqua che intride progressivamente i costumi dei cantanti, rendendone «sporchi» e antilirici i movimenti.

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Donato Renzetti dirige con mano sicura assecondando l’idea derealizzante del regista ed evidenziando nella partitura i segni di una evidente implosione del genere comico non solo attraverso la contaminazione col serio (da qui Rossini, fatta eccezione per Adina, realizza di seguito 12 opere serie), ma soprattutto attraverso la musicalità fine a se stessa della scrittura rossiniana. Il cast fa registrare le eccellenze di Nino Machaidze, Alex Esposito, René Barbera e Marko Mimica.

Una continuazione all’insegna della leggerezza e del kitsch ironico l’11 agosto al Teatro Rossini con La gazzetta, «dramma per musica» assai buffo in due atti (libretto goldoniano di Giuseppe Palomba; diciassettesima opera di Rossini: Napoli, 1816), per la regia di Marco Carniti, le scene di Manuela Gasperoni, i costumi di Maria Filippi e le luci di Fabio Rossi. Anche qui il buffo sgangherato e zeppo di equivoci e zeppe drammatiche della trama viene tradotto in uno spazio astratto, dove la chiave non è tanto quella del sogno, quanto quella del gioco: un gioco che riesce dal punto di vista registico, ma un po’ meno dal punto di vista scenografico (fastidioso l’apparato di scritte luminose o stampate su pannelli che scendono e salgono senza sosta). Enrique Mazzola dirige con verve e precisione. Bravissimi Nicola Alaimo, Hasmik Torosyan, Maxim Mironov e Vito Priante.

Una conclusione felicemente sintetica e naturalistica il 12 agosto al Teatro Rossini con L’inganno felice, «farsa» malinconica in un atto (libretto del goldoniano Giuseppe Foppa; terza opera e primo grande successo di Rossini: Venezia, 1812), per la regia di Graham Vick, le scene e i costumi di Richard Hudson, e le luci di Matthew Richardson. L’allestimento evidenza con nitore inappuntabile la primaria circolarità della trama. Denis Vlasenko dirige bene, al netto di qualche eccessiva lentezza. Bravissimi Mariangela Sicilia, Davide Luciano e Carlo Lepore.