A Baghdad, a poca distanza una dall’altra, ci sono due statue: sulla sponda del Tigri c’è Sherazade in piedi che per sopravvivere narra la sua favola lunga mille e una notte al re femminicida, comodamente sdraiato davanti a lei; nel quartiere di Karrada c’è Kahramana, raffigurazione della giovane schiava Marjana che brucia con l’olio bollente i quaranta ladroni nascosti nelle giare. Le femministe della capitale preferiscono la seconda: «È l’intelligenza femminile contro la corruzione. La statua di Sherazade no, è lo specchio del patriarcato», scherzano.

 

 

NELLA CAPITALE IRACHENA spira aria nuova, soffiata da una lunga tradizione di movimenti femministi che oggi ha trovato una sponda nelle giovani donne che affollano le sue strade. Studiano, lavorano, protestano: in piazza Tahrir erano tantissime e di tutti i tipi, studentesse, venditrici ambulanti, casalinghe, lavoratrici. Per molte quella mobilitazione lunga quasi un anno ha cambiato la prospettiva: «Mi sto liberando un po’ alla volta – racconta Z., 22 anni – In piazza ho sentito che l’utopia che sognavo non era irraggiungibile. C’erano persone che erano interessate a sentire la mia voce. Dopo Tahrir ho cambiato lavoro: mi sono licenziata, vivo sola, ho tolto il velo. Mio padre non sa più dove sono».

 

Baghdad, la manifestazione dello scorso 25 maggio a piazza Tahrir (foto Chiara Cruciati)

 

«Noi donne veniamo represse – ci spiega Batool, aspirante giornalista – e Baghdad è il meglio del peggio: qui la situazione è molto migliore che altrove. Ma non abbiamo tutele. Le uniche che possono permettersi una vita libera sono le ragazze ricche. Perché possono andarsene».

Stipendi inferiori, tasso di disoccupazione maggiore e zero rifugi sicuri in caso di violenza. Un tasto su cui battono da tempo i movimenti delle donne irachene, che premono per una legge già scritta ma lasciata a decantare per ragioni politiche: «Se una donna fugge dalle violenze domestiche – prosegue Batool – non ha rifugio. Siamo nel 2021 e leggi tribali non scritte prevalgono ancora su quelle dello Stato. E comunque una legge non c’è: è stata redatta ma mai approvata».

LA LEGISLAZIONE-FANTASMA prevede il carcere per abusi su donne e bambini, inserendo una nuova fattispecie di reato nel codice penale, ma il parlamento non la approva, congelato dal veto di alcuni partiti che definiscono la normativa contro la violenza sulle donne un pericolo per la società e per la religione, nonostante l’aumento dei femminicidi durante la pandemia: «In questi mesi alle violenze che sono state denunciate non sono seguiti né arresti né processi né tantomeno protezione per le vittime. Si “risolve” con le leggi tribali, transazioni in denaro indifferenti a cosa vorrebbe la donna», spiega Sahar Salam di “Al Thawra al-Untha” (La rivoluzione è donna), organizzazione nata dopo la rivolta dell’ottobre 2019 per generare consapevolezza tra le donne rispetto ai propri diritti e agli strumenti di lotta.

 

 

«STIAMO IDENTIFICANDO 120 attiviste in cinque governatorati diversi insieme a Un Ponte Per. Faremo formazione, diversa a seconda della regione perché le esigenze sono differenti, e individueremo le necessità delle donne. Sulla base di queste, decideremo insieme le attività da svolgere». Esigenze diverse in luoghi diversi perché l’Iraq non è tutto uguale: «Io ho vissuto nel sud e poi nella capitale – continua Sahar – ed è a sud che ho visto la vera condizione della donna irachena. A Baghdad le donne escono da sole, studiano, vestono come desiderano. Nel sud no, a decidere per loro è la famiglia e anche le attività più semplici sono una chimera: uscire, vestirsi, studiare, si fa accompagnate da un uomo o con il suo permesso. Ci sono casi di matrimoni forzati di minorenni e di adolescenti costrette a lasciare la scuola in attesa del marito giusto».

IN QUESTO CONTESTO, dice, «parlare di partecipazione politica è fantascienza». L’obiettivo è fornire modelli di riferimento diversi, che dicano che scegliere liberamente è normale. A sud si combatte contro un sistema radicalmente patriarcale («Una mentalità così vecchia che le donne stesse hanno finito per considerarla “giusta”)», a Baghdad le giovani generazioni aprono nuove strade ispirate dal mondo fuori e dalla consapevolezza che «alla base ci sia diseguaglianza di genere»: «Dopo la rivoluzione, l’Iraq è cambiato in modo irreversibile – conclude Sahar – Prima a guidarci era il fatalismo, la rassegnazione. Ora sappiamo che se gridiamo il governo è costretto ad ascoltare anche le donne».