Dopo l’accordo di de-escalation entrato in vigore sabato nelle “safe zone” individuate da Russia, Iran e Turchia, ieri nuove intese sul terreno sono state siglate tra governo e opposizioni islamiste presenti nell’area di Damasco: autobus verdi hanno iniziato una nuova evacuazione dei miliziani e delle loro famiglie, tutti diretti a Idlib, la provincia nord-occidentale trasformata in un’enorme enclave jihadista e salafita dove vengono fatti convergere tutti i gruppi che via via abbandonano le armi.

Ieri è toccato al distretto di Barzeh: 1.500 tra miliziani e familiari sono stati portati fuori dopo l’accordo con il governo, mentre un altro negoziato è in corso per il distretto di Qabun.

A stupire di più, però, è un’altra intesa: i qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra hanno accettato di lasciare il campo profughi di Yarmouk nella capitale siriana dopo aver raggiunto un’intesa con l’esercito governativo.

Un luogo dimenticato, svuotato della sua popolazione (sono meno di 15mila gli attuali abitanti, erano 180mila prima del 2011) e affamato tanto da contare decine di morti per denutrizione.

Non si tratta del primo accordo di evacuazione accettato dall’ex al-Nusra (ribattezzatasi Fatah al-Sham), che già aveva abbandonato Aleppo a fine dicembre. Ma comunque della prima intesa che vede coinvolto solo il gruppo, contrario a trovare compromessi con il governo tanto da punire con operazioni estremamente violente i gruppi di opposizione che negoziano con Damasco.

Anche loro sono diretti a Idlib, una delle quattro safe zone individuate dall’accordo di Astana come aree di cessate il fuoco. I trasferimenti, ormai regolari, fanno storcere il naso a molti che vi leggono un modo per modificare la struttura demografica siriana.

Damasco promette che si tratterà di misure temporanee che solo in casi limitati (come quelli dei villaggi sciiti di Fua e Kefraya e dei sunniti Zabadani e Madaya) riguardano i civili.

Per lo più si tratta di miliziani di estrazione salafita e jihadista, quei gruppi ampiamente finanziati e sostenuti da Ankara, che ora – in parte – festeggia: nella pratica è riuscita a creare sacche a maggioranza sunnita al confine, porzione di una più ampia zona cuscinetto che nelle mire turche parte da Idlib per arrivare nel nord dell’Iraq.

Resta il dubbio su Fatah al-Sham: esclusa dall’accordo, è la forza che controlla Idlib ed è facile aspettarsi reazioni all’arrivo di miliziani di fazioni prima alleate e ora considerate traditrici. Due le opzioni: o una riorganizzazione del fronte islamista intorno ad al Qaeda o la faida interna.

Chi resta escluso è l’Onu: ieri il ministro degli Esteri siriano Muallem ha fatto sapere che le forze delle Nazioni unite non saranno dispiegate nelle quattro aree (Idlib, il nord est della provincia di Latakia, l’ovest di quella di Aleppo e il nord di quella di Hama; il nord della provincia di Homs; Ghouta est a Damasco; i distretti meridionali di Deraa e Quneitra al confine con Giordania e Israele) per un eventuale monitoraggio dell’intesa.