La traduzione italiana di L’antisemitismo a sinistra in Francia. Storia di un paradosso (1830-2016) di Michel Dreyfus (edizioni Free Ebrei, che si può acquistare anche sul sito www.Freeebrei.com) interessa il lettore italiano per i contenuti come per l’originalità metodologica. L’autore è un autorevolissimo storico sociale del sindacalismo e del mutualismo ed è quindi particolarmente in grado di individuare le ricadute del pregiudizio nella vita quotidiana.

A STIMOLARE LA RICERCA sono state le polemiche più recenti: gli accenti di pregiudizio presenti talvolta nelle critiche alla legittimità di Israele, l’intreccio di anticolonialismo e pregiudizio antisemita che si insinua pericolosamente nelle subculture delle periferie popolari. Un preconcetto tuttora presente in Francia, a sinistra, ben più che in altri paesi. Ma questo libro rimanda alle radici dei problemi ed è scritto dal punto di vista di una cultura di sinistra che intende, prima di tutto, capire le ragioni della caduta nel pregiudizio per sconfiggerlo.
Il caso francese è particolarmente interessante perché la completa emancipazione degli ebrei coincide con la Rivoluzione, la Repubblica ma anche un processo lento e contradittorio di modernizzazione economica. Nelle campagne dove sopravvive l’agricoltura di sussistenza, nelle città dove resiste un artigianato assediato dalla fabbrica la xenofobia viene legittimata da un patriottismo che rischia di degenerare in nazionalismo e vi trova spazio la forma moderna dell’antisemitismo, l’identificazione degli ebrei con la finanza capitalistica.

L’ANTISEMITISMO di Proudhon e di Toussenel, quello meno pervasivo di Blanqui, quello esplicito di Benoit Malon, la deriva ipernazionalista del filocomunardo Rochefort sono espressione di una resistenza «reazionaria» alla modernità cui si affianca l’accecamento di coloro che – come il sindacalista d’azione diretta Emile Pouget – credono che l’antisemitismo popolare sia il primo passo verso l’anticapitalismo e non il più pericoloso ostacolo a una coscienza socialista.

DALL’ACCURATA ricostruzione di Dreyfus emergono due aspetti del tenace paradosso. La sinistra – con la sua analisi concreta delle relazioni sociali e l’universalismo della sua tensione egualitaria – avrebbe a disposizione due potenti antidoti. La sua critica si rivolge alla «silenziosa coazione dei rapporti economici» per definizione impersonali: l’identificazione della formazione sociale capitalistica con la rapacità di individui o gruppi etnici o religiosi ne viene non solo superata ma addirittura ridicolizzata. D’altra parte spinti dalla lunga depressione e dalla violenza dei pogrom migliaia e migliaia di proletari e operai ebrei emigrano in Francia, Inghilterra, Stati Uniti con una partecipazione i movimenti sindacali e politici di emancipazione che a sua volta rende impronobile l’ identificazione degli ebrei con la finanza: anzi risibile, se non fosse tragica.
Eppure la sinistra in ben determinate fasi storiche, di crisi generalizzata della società ambiente, di sue interne sconfitte e debolezze analitiche e organizzative si lascia permeare dal pregiudizio sostituendo ad analisi specifiche e differenziate dei rapporti di forza sociali formule che non solo sono moralmente esecrabili ma analiticamente impotenti.

NEL CASO FRANCESE all’antisemitismo «socialista» ottocentesco segue la mobilitazione collettiva del caso Dreyfus e il periodo della grande Guerra e della ricostruzione, in cui tutte le risorse del paese sono chiamate in causa. Una fase interrotta dalla crisi degli anni ’30, in cui il riemergere di toni antisemiti coincide con gravi cadute, a sinistra, della capacità di analisi della fase. Quei socialisti che per pacifismo senza principi accusano «gli ebrei» e il loro segretario Léon Blum di volere la guerra con Hitler non si rendono conto che la guerra è inevitabile. Il gruppo dirigente comunista accettando il tragico patto Molotov-Ribbentrop subordina le proprie analisi a quelle dello «stato operaio» e adotta nella campagna contro Georges Mandel la definizione di «ebreo» come un’accusa.
Nelle stesse settimane in cui un dirigente del Pcf chiede l’autorizzazione all’occupante nazista di pubblicare legalmente l’Humanité, la Naïe Presse, il giornale operaio filocomunista in yiddish, si organizza in clandestinità. Vediamo così all’opera il contrasto fra il cedimento al «socialismo degli imbecilli» e la concreta realtà sociale ebraica in quei luoghi e in quegli anni.
È anche significativo che la mobilitazione antifascista e la Resistenza, con il contributo di tanti ebrei e immigrati (pure italiani), mettano a tacere il pregiudizio antisemita. Dreyfus analizza poi con finezza, senza sopravvalutarle, le nuove forme di preconcetto che si esprimono nella identificazione fra il governo israeliano, lo stato d’Israele e le contraddizioni che agitano le società mediorientali, compresa Israele. Ancora una volta l’antisemitismo non è solo rivelatore di caduta etica ma di incapacità di analisi concreta: insomma, la battaglia contro il «socialismo degli imbecilli» è necessaria, innanzitutto, alla sinistra.