Dark Matter non è un disco politico, «anche se non posso fare a meno di essere influenzato da ciò che mi accade intorno». Sgombra subito il campo da eventuali equivoci, Moses Boyd, già da tempo pilastro del rinnovamento jazz nel Regno Unito. Lui non è solo un batterista stimato anche da musicisti assai glitterati ma anche un produttore dalle indubbie qualità. Ha parecchia materia da esplorare, in effetti, nella Gran Bretagna dei nostri giorni, chi come lui ha origini caraibiche. Innanzitutto la complessità dell’identità ibrida che aveva cominciato a sviscerare nel precedente Displaced Diaspora, un progetto (quasi) propedeutico a questo...