Una condanna fra i tre e i quattro anni per gli otto comandanti che hanno guidato il poligono militare di Quirra a Perdasdefogu e il distaccamento di Capo San Lorenzo dal 2004 al 2010. Era la richiesta avanzata dal pm Biagio Mazzeo l’8 settembre scorso, al termine di una requisitoria di due ore, durante il processo sui veleni della base militare Interforze sarda cominciato davanti al tribunale di Lanusei nel novembre 2014.

LA SENTENZA, CLAMOROSA, è arrivata ieri sera: tutti assolti «perché – secondo la giudice monocratica del tribunale di Lanusei, Nicole Serra – non c’è idonea prova che abbiano commesso il fatto contestato». Il pm aveva chiesto quattro anni di reclusione per i comandanti del poligono centrale di Quirra: Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi e Paolo Ricci. Di tre anni invece era la richiesta per Gianfranco Fois e Francesco Fulvio Ragazzon, comandanti del distaccamento a mare di Capo San Lorenzo, sulla costa sud orientale dell’isola. Questi ultimi due dovevano risponder soltanto del danneggiamento del fondale marino. I primi sei, invece, erano accusati di omissione di cautele contro infortuni (articolo 437 del codice penale), perché, secondo il pm, non avevano provveduto a evitare che le esercitazioni provocassero, attraverso l’esposizione a sostanze tossiche liberate dalle esplosioni, malattie gravissime e in alcuni casi la morte sia di militari in servizio sia di civili residenti nelle aree situate all’interno o nelle vicinanze della base.

LE INDAGINI SUL CASO QUIRRA sono cominciate nel 2011, coordinate dall’allora pm Domenico Fiordalisi. Nella sua requisitoria Mazzeo ha ripercorso le fasi dell’inchiesta e ha sostenuto che le testimonianze e le perizie tecniche emerse nel dibattimento «hanno dimostrato in maniera inequivocabile un’omissione da parte degli imputati delle cautele che avrebbero dovuto evitare l’esposizione di militari e civili a immissioni di grandi quantità di sostanze tossiche, rilasciate nell’aria e poi depositatesi nei terreni, nelle falde acquifere e nei fondali marini».

«NEGLI ANNI CHE VANNO DAL 2006 al 2010 – ha rilevato il pubblico ministero – militari e residenti nelle aree del poligono si sono ammalati di linfomi e di tumori rari e diversi di loro sono morti. Che nella base di Quirra non fossero messe in atto le cautele necessarie perché ciò non avvenisse è emerso in particolare dalla testimonianza dell’ufficiale Walter Binda, che ha dichiarato che l’attività di brillamento di bombe obsolete da lui coordinata era realizzata senza alcuna protezione. La presenza di sostanze radioattive e di metalli pesanti nel territorio della base è stata dimostrata dalle analisi fornite dai consulenti nominati dal pm Fiordalisi».

SONO NOVANTAQUATTRO I SOGGETTI che al processo si sono costituiti parte civile: le famiglie delle vittime (malati gravi o morti), i pastori che hanno greggi e mandrie nella zona e che hanno visto il loro bestiame ammalarsi e morire, le associazioni ambientaliste, alcuni comuni. Tutti attendono giustizia dopo sette lunghi anni di iter giudiziario. Molti in aula i riscontri di casi drammatici. I quattro assistiti dall’avvocato Giacomo Doglio hanno sviluppato patologie tumorali dell’apparato emolinfopoietico. Vivevano e lavoravano tutti dentro i confini della base militare, ma nessuno li ha mai avvertiti del pericolo: «Neanche il responsabile della sicurezza del poligono – ha detto Doglio – sapeva esattamente come stavano le cose. La valle di Is Pibiris, dove pascolavano le mucche dei miei assistiti, era un’enorme discarica di materiale bellico dismesso».

L’AVVOCATO ROBERTO PEARA ha ripercorso la storia di Andrea Lai. Militare nei dieci anni che coprono i capi di imputazione, Lai ha visto e ha raccontato. Viveva a Perdasdefogu, comune dentro i confini della base. Dopo la morte della madre, uccisa da un rarissimo cancro al surrene, si è trasferito negli alloggi militari interni al poligono. «Investito da una nuvola di polvere durante un brillamento – ha raccontato il suo avvocato – Lai ha chiesto al comando della base misure di prevenzione, ma lo hanno ignorato. Si è ammalato di tumore».

TRA LE PARTI OFFESE ANCHE PERSONE giuridiche. Come il comune di Villaputzu, il primo paese dove, dopo una documentata denuncia dei rischi sanitari da parte del medico condotto, gli abitanti hanno chiesto chiarezza sull’incidenza di malattie tumorali, che colpiva in particolare la piccola frazione di Quirra.

A FAVORE DELL’AMMINISTRAZIONE di Villaputzu gli avvocati hanno chiesto un milione di euro di risarcimento. Indennizzi molto alti per danni da esposizione ai veleni, all’immagine e patrimoniali chiedono anche i comuni di Ballao, di Escalaplano e di Armungia. Tante le patologie genetiche, soprattutto a Escalaplano, dove i pastori, per anni, hanno visto pecore e bovini nascere malformati o morti.

QUESTA LA TESTIMONIANZA RESA in aula da una donna: «Ho passato quarantadue anni a Quirra. Io e la mia famiglia facciamo i pastori. Mio figlio Roberto è morto di un tumore al cervello. Un altro mio figlio, Stefano è stato operato per un cancro ai testicoli. Io ho avuto un intervento per un carcinoma alla tiroide. In certi mesi dell’anno avevamo sempre gli aerei militari sopra la testa. C’erano gli sgomberi. Prima dell’inizio delle esercitazioni ci mandavano via di casa. Era un’umiliazione, per noi, essere mandati via di casa. Una volta, durante un lancio, un missile ha cambiato rotta forse per un’avaria e l’hanno fatto esplodere in aria, sennò ci cadeva in testa. Un grande boato e ci siamo trovati inondati di fumo e di polvere, i bambini giocavano con le scintille, ad acchiapparle. Quando pioveva si allagava tutto e i residui dei materiali usati nelle esercitazioni galleggiavano dappertutto. E poi, ancora, le malformazioni degli animali. Anche un agnello con un occhio solo abbiamo avuto. Oltre a mio figlio, è morto di tumore un mio parente stretto e diversi conoscenti. Sa da quanti medici siamo stati per curarci? Viaggi a Bologna, a Milano, in Francia. Dicevano che le ragioni della malattia erano ambientali. Dicevano: «Tornate a casa, non c’è nulla da fare».