Tolto Salvini, che l’ha voluta, la crisi di governo ha precipitato nel panico tutto l’arco politico. Come ha osservato Nadia Urbinati sul manifesto, un’eventuale sua vittoria elettorale, e un governo da lui presieduto, rischiano di accelerare il degrado del regime democratico, o addirittura, come ha paventato Rino Formica, della convivenza civile.

Il dilemma allora è semplice, ma la scelta difficile. Lo scioglimento esporrebbe subito il paese al rischio del governo Salvini. Il rinvio significa inventare un governo d’emergenza, nella speranza che lo slancio di Salvini si sgonfi e i suoi concorrenti riorganizzino le proprie file. Inaspettatamente, ma non troppo, visti i personaggi, la seconda eventualità è preferita da Grillo e da Renzi, che, fossero stati gente più seria, ci avrebbero pensato ben prima.

UN GOVERNO CONCORDATO sarebbe stata la soluzione più ragionevole già all’indomani delle elezioni. Ad opporsi fu proprio Renzi, desideroso di vendicarsi degli elettori che avevano a suo tempo bocciato la sua proposta di riforma costituzionale. Adesso Renzi pare pronto alla scissione pur di raggiungere lo scopo.
Le riserve sul conto di 5 stelle sono più che fondate. Basta per tutte la loro subalternità a Salvini. Ma forse se il Pd avesse mostrato più rispetto almeno per le ragioni dei loro elettori, anziché gettarli in braccio alla Lega, si sarebbe potuto cavarne qualcosa di democraticamente meno indigesto di quel che ne ha cavato Salvini. Al quale il rinvio delle elezioni potrebbe perfino andar meglio.

Il governo di emergenza si farebbe carico di una finanziaria scomoda (mettere in sicurezza i conti pubblici, dice qualcuno, che non significa niente di buono per tanti elettori), e lui fruirebbe di qualche altro mese di propaganda. L’unico serio rischio per lui sarebbe la scrittura di una legge elettorale meno infame. Per rassicurarlo, tanto Renzi quanto Di Maio puntano a ridurre il numero dei parlamentari, nell’illusione di farsene un trofeo per le prossime elezioni. Una rapida convocazione degli elettori parrebbe preferita, oltre che da Salvini, da Zingaretti.

Che, comunque vada, vuol liberarsi di una rappresentanza parlamentare selezionata da Renzi e in larghissima parte ostile. Ma liberarsi dell’ala renziana non è obiettivo granché motivante per gli elettori. Il Pd recupererebbe magari qualche pentito di aver votato 5 Stelle, e suturerebbe la scissione di Leu. Ma si condannerebbe lo stesso a una sconfitta, amplificata dalla legge elettorale.

SU ZINGARETTI GRAVA pure una pesante responsabilità. Sarà stato prigioniero di Renzi e dei suoi accoliti, ma non ha neanche lui abbozzato quella riflessione sui motivi della sconfitta vietata da Renzi. Salvini e i 5 Stelle non sono alieni scesi dallo spazio. Salvini è l’erede del patrimonio elettorale di Berlusconi, che ha incrementato dalla sua propaganda xenofoba. Sul cui successo tocca riflettere.

LE MIGRAZIONI SUSCITANO paure, irrazionali, ma effettive, che andavano prevenute, non con la tecnica di Minniti, ma con un’assai più determinata e efficace strategia d’accoglienza, oltre che forzando l’indifferenza europea. Non lasciando a Salvini il framing della questione. L’avanzata di 5 Stelle è stata effetto delle politiche di austerità, dell’abbandono del Mezzogiorno e delle periferie urbane e dell’immagine di malcostume che la classe politica dà di sé. L’eredità del governo Berlusconi e dell’austerità di Monti era pesantissima. Ma non si racconti che i governi del Pd abbiano fatto il possibile per ovviarvi. L’elargizione elettorale degli 80 euro, per dirne una, avrebbe potuto essere utilmente sostituita da spese per investimenti.

Vedrà ora il capo dello Stato. Ma intanto, per quanta paura incuta Salvini, non è detto che paghi gridare al lupo al lupo. La costituzione qualche difesa la prevede e nel paese vi sono ancora molti anticorpi. C’è in giro qualche fascista, ma non ci sono le squadracce.

SALVINI HA FORSE OTTENUTO qualche finanziamento da russi e americani, che ci vedono un grimaldello per sgangherare un’Europa già sgangherata di suo. Ma ha dietro di sé la solita Italia moderata e che non è fatta, sia chiaro, di gente stupida, ignorante e cattiva. Un po’ punta a sgravi fiscali, condoni e sanatorie.

Un po’ sono benpensanti che hanno paura del nuovo e hanno bisogno di essere rassicurati. Prima di accusarli d’insensibilità per la tragedia dell’immigrazione, bisognerebbe ben capire quanto ne sanno e come la percepiscono e vivono. Alcuni di costoro giungono perfino dall’elettorato di sinistra. Il Pd ha preferito come interlocutore le banche.

Elezioni o non elezioni, la frittata è fatta ed è impossibile ricomporre le uova. Anche Salvini deluderà, perché non ha un disegno oltre la cacciata dei migranti e la flat tax e il suo governo massacrerà i ceti deboli. L’uscita dall’euro gli è preclusa dai suoi elettori padani. Ma serve tempo. Intanto il problema è l’assenza di un’opposizione radicata nel paese. Questa è una condizione terribile.

Dal 1994 in avanti l’Italia è una democrazia senza partiti. Forse è il destino di tutti i regimi democratici, ma c’è poco di cui rallegrarsi. Restava il Pd, mutato da Renzi nel suo seguito personale, e ancora incapace di ricostituirsi. Latita, si lacera e manca di un progetto di futuro, sul lavoro, il sistema industriale, il Mezzogiorno. Ma ci sono gli anticorpi: l’opposizione sociale, che è agguerrita e si manifesta in tanti luoghi. Dobbiamo sperare in essa e fare il possibile per rafforzarla e unificarla. Spesso ahimè si dimentica che a fare il governo è anche chi gli si oppone. Sulle piazze se necessario.