La tradizione cantautorale francese s’arricchisce di un nuovo ed importante tassello della sua lunga e affascinante storia con la pubblicazione del quinto album di Camille Dalmais, meglio conosciuta con il solo nome di battesimo, Camille. Non molto nota in Italia, Elisa e Giorgia coverizzarono qualche tempo fa Pour que l’amour me quitte, mentre a prestarsi in un duetto swing, quasi a dimostrare la versatilità dei mezzi vocali della cantante fu Rafael Gualazzi (L’amie d’un italian in Happy Mistake), Camille deve il successo soprattutto a Le Fil, disco ormai più che decennale e realizzato con arditi arrangiamenti «a cappella». Ora è la volta di Oui, titolo dell’album della Warner e affermazione all’ascolto di più di un bisillabo di felicità: sia per come sviluppa, in un reticolo di trame vocali e strumentali di estrema raffinatezza stilistica, l’intero bagaglio artistico della cantante.

Camille sembra aver messo da parte un certo internazionalismo velleitario (il paragone in passato evocato con Bjork era qualcosa di più d’un fuorviante intendimento), sia per il recupero in chiave bucolica della lingua francese (che sia complice la registrazione effettuata quasi in presa diretta in un monastero medievale nell’avignonese?), abbandonando così e forse in un passo successivo – si spera definitivamente – l’inglese. Dunque, per lei scomodare paragoni illustri, a parte la citata Bjork si è parlato di Diamanda Galas e addirittura in un passato recente anche delle sperimentazioni à la Meredith Monk, è risultato quasi mettere in secondo piano la feconda originalità, che finalmente con Oui sembra esprimersi libera da vincoli commerciali.

Insomma, pur restando in un ambito altamente competitivo, ricollocato nell’ampio alveo techno-pop d’oltralpe (l’eco della vocalità di una Charlotte Gainsbourg arriva fino Oui, esilmente ma vi arriva e ciò sembra aggiungere e non togliere nulla a questo capolavoro), Camille in brani come Lasso, Langue o Nuit debout mostra di aver assorbito, à rebour, la lezione di Joni Mitchell. Proprio della cantautrice canadese, Camille recupera in chiave contemporanea il desiderio di far sintesi di una inderogabile matrice folk, le cui destinazioni sono perlopiù indicate sia nella sovrapponibilità delle composizioni sia nel messaggio contenuto nei testi, che privilegia l’andamento favolistico della filastrocca, del limericks, dell’apparente non-sense, piuttosto che del micro-racconto tipico della «chanson» francese.