Da più parti, sia politiche che tecniche, si è auspicato il ritorno (dopo oltre 40 anni) della medicina scolastica. L’intenzione di rafforzare la protezione della salute di bambini e ragazzi è comprensibile e giustificata, a dire la verità non solo per far fronte alle esigenze indotte dalla pandemia Covid-19. Ma se esaminiamo le funzioni di cui le scuole avrebbero bisogno emerge chiaramente che le figure più adatte a svolgerle in modo appropriato non sono i medici. Che tra l’altro, come si sa, mancano. E le cui specifiche competenze possono comunque essere, quando necessario, attivate presso i rispettivi pediatri o medici di famiglia o presso altri servizi territoriali.

C’è, da un lato, la necessità di operatori in grado di svolgere, in stretta collaborazione con i dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie, compiti di sorveglianza, protezione e promozione della salute individuale e di gruppo, sia per le problematiche riguardanti il Covid – con organizzazione ed effettuazione di eventuali test, verifica delle misure di protezione, ecc. – ma anche per l’educazione nutrizionale, ambientale e, per i ragazzi più grandi, quella riguardante l’uso di sostanze o la salute riproduttiva. Tra quelli esistenti, i profili professionali più adatti a svolgere questi compiti sono quelli dell’infermiere di comunità e dell’assistente sanitario, figura quest’ultima sfortunatamente relegata a singole isolate esperienze e scuole di formazione. Entrambi i profili garantiscono le competenze che servono: una solida formazione in salute pubblica, in programmi di prevenzione e di sorveglianza epidemiologica. Tra l’altro, una delle prime misure prese dal Ministero della Salute è stata l’assunzione di infermieri di comunità, una parte dei quali potrebbero, e dovrebbero, essere destinati al settore infanzia e adolescenza, da 0 a 18 anni.

L’altra funzione di cui si sente, da tempo, il bisogno nelle scuole, e di cui la pandemia ha acuito la necessità, è quella di supporto psicologico ai bambini e ai ragazzi, alla mediazione tra loro e i genitori, al sostegno agli stessi insegnanti nel lavoro con gli alunni che presentano problematiche specifiche, al raccordo tra le scuole e i consultori familiari, i servizi di neuropsichiatria infantile, i Sert, e con la comunità tutta e le risorse che può offrire. Una figura professionale di psicologo, naturalmente con una specifica formazione in età evolutiva, sarebbe indubbiamente di grande utilità. I due operatori, da immaginarsi come micro-team al servizio di uno o più istituti scolastici e dei servizi educativi 0-6 esistenti in un determinato territorio, potrebbero costituire un elemento di forte raccordo, oggi troppo debole o inesistente, tra servizi educativi, sanitari e sociali, e, perché no, anche associativi e culturali (pensiamo alle biblioteche o ai musei) contribuendo a rafforzare la capacità educante e coesiva delle comunità.

*Pediatra, Presidente del Centro per la Salute del Bambino onlus (membro di Alleanza per l’Infanzia)