Il governo ha modificato il piano delle vaccinazioni anti-Covid-19 rimodulando tempi ed entità delle forniture dei vaccini da parte delle aziende.

Il risultato è paradossale: mentre appaiono evidenti i ritardi, secondo il piano la disponibilità dei vaccini è persino aumentata: rispetto ai 202 milioni di dosi della prima versione di dicembre, la tabella aggiornata ne riporta quasi 24 milioni in più. Il nuovo piano, dunque rischia di essere ancora più irrealistico del primo, falcidiato dai tagli della Pfizer.

Le dosi in più sono dovute alle nuove forniture richieste dalla Commissione Europea alle aziende già autorizzate – 180 milioni di dosi supplementari da dividere tra gli stati membri. All’Italia toccheranno circa 13 milioni di dosi Pfizer nell’arco del 2021, più 10 milioni da Moderna nella seconda metà dell’anno.

Nonostante l’aggiornamento, il piano andrebbe già rivisto. Vi compaiono vaccini non disponibili e mancano dosi che potrebbero essere contabilizzate. Ad esempio, il governo conta di ricevere entro marzo due milioni di dosi dalla società tedesca CureVac, che però ha avviato gli studi clinici finali solo nello scorso dicembre e non riceverà il via libera così presto.

Anche le dosi promesse da AstraZeneca, sul cui vaccino è atteso per oggi il parere dell’Agenzia Europea del Farmaco (Ema), non saranno gli 8 milioni riportati nella tabella del piano delle vaccinazione ma il 60% in meno, come ha spiegato l’ad Pascal Soriot in un’intervista.

D’altro canto, il piano non conteggia dosi che in realtà esistono. Nel corso della campagna di somministrazione i sanitari hanno scoperto che da ogni fiala consegnate dalla Pfizer si possono estrarre sei dosi di vaccino e non cinque come dichiarato dall’azienda. Dato che gli accordi (segreti) Pfizer-Ue parlano di dosi e non di fiale, secondo l’azienda la sesta dose compenserebbe i tagli alle consegne. Se il governo ne tenesse conto nei numeri del piano, finirebbe per confermare la versione di Pfizer.

Le incognite però non riguardano solo la quantità dei vaccini disponibili, ma anche la loro tipologia. Il vaccino sviluppato dalla AstraZeneca, di cui l’Italia attende ben 40 milioni di dosi, potrebbe essere autorizzato dall’Ema solo per persone al di sotto dei 60 anni. Negli studi finora pubblicati dall’azienda, infatti, i volontari anziani sono stati troppo pochi per accertare l’efficacia del vaccino anche tra di loro.

L’azienda potrebbe aver consegnato all’Ema ulteriori dati non ancora pubblici per allargare la vaccinazione anche a queste fasce di età. Ma se così non fosse, il vaccino britannico non sarà utile in questa fase: oltre agli operatori sanitari “in prima linea”, le categorie prioritarie sono gli ospiti delle Rsa e persone con più di 80 anni. Un vaccino per soli giovani potrebbe rimanere momentaneamente nei frigoriferi.

L’altra incognita riguarda proprio la popolazione da vaccinare. Nonostante le raccomandazioni del Parlamento, le Regioni hanno incluso nella “prima linea” anche impiegati extra-ospedalieri e dirigenti sanitari. Centinaia di migliaia di dosi preziose sono dunque state sottratte alle categorie prioritarie.

Le critiche di movimenti e associazioni a difesa della sanità pubblica non si fermano qui: «il Piano vaccinale Covid, di cui la Conferenza Stato-Regioni ha solo preso atto, è impreciso perché non menziona tra le priorità i soggetti di tutte le età ad alto rischio in quanto affetti da patologie croniche, è troppo diluito nel tempo per ottenere un’immunità di gregge efficace a ridurre i danni sanitari, sociali ed economici della pandemia e non garantisce l’uniformità tra le Regioni» sostiene il Forum per il Diritto alla Salute, che invita a firmare l’iniziativa dei cittadini europei “Niente profitti sulla pandemia”».

«Fondamentale che le poche dosi di vaccino disponibili siano utilizzate per proteggere chi lavora in prima linea con i pazienti e le persone più fragili» afferma il presidente del gruppo Gimbe Nino Cartabellotta puntando il dito contro l’«assenza di un’anagrafe vaccinale nazionale».

Secondo il Gimbe, in Lombardia il 51% dei vaccinati sarebbe personale “non sanitario”. La Regione ha risposto in serata su come sono stati distribuiti i 256 mila vaccini somministrati. Gli operatori non sanitari sarebbero solo il 21,1% dei vaccinati. «La stragrande maggioranza, più di 172.000 (67,2%) sono stati somministrati ad operatori sanitari di strutture pubbliche, private, Medici di Medicina Generale» ha spiegato in una nota.