Nel granitico mondo del calcio, tutto al maschile, piccole scosse telluriche arrivano dalle donne. La recente riforma dello sport, approvata una settimana fa dal governo Draghi, ma frutto di un lungo lavoro dei governi Conte 1 e 2, prevede, tra le varie novità, che le donne nel calcio possano passare al professionismo, a partire dal 2022. In fondo quel mondo per soli uomini della palla di cuoio deve pur avere un po’ di tempo per abituarsi ai diritti delle donne.

Fino a ieri le calciatrici impegnate nella massima serie e anche nella Nazionale, non avevano alcun diritto alla tutela sanitaria, perché considerate dilettanti. In caso di malattia tutte le atlete devono provvedere in proprio alle spese delle cure, mentre per gli uomini sono le società di calcio a farsi carico. La legge 81 del 1991, soppiantata dalla nuova riforma, prevedeva che il professionismo nello sport fosse solo maschile e limitato alle federazioni del calcio ( Figc), pugilato ( Fip), motociclistica (Fmi) e del golf ( Fig).

Ma vi è un’altra questione importante, in caso di gravidanza ogni atleta donna, in quanto dilettante, pone automaticamente fine al contratto di lavoro con la società sportiva per la quale gareggia. Il diritto alla maternità, in tutti gli ambiti lavorativi è tutelato, nel mondo dello sport italiano non è affatto contemplato.

Sara Gama
Il passaggio al professionismo nel mondo del calcio femminile, consentirà alle donne di avere maggiori tutele in materia di sanità e di maternità: «Si tratta di un passo importante per il riconoscimento dei diritti del mondo dello sport, a partire dalle tutele per i lavoratori sportivi fino al professionismo femminile» dichiara Manuela Claysset con un lungo passato nell’Uisp e oggi responsabile del dipartimento Sport del Partito Democratico.

Sulla questione dei diritti nel mondo del calcio femminile da qualche anno è molto attiva Sara Gama, nata a Trieste da padre congolese e madre triestina, capitana della Juventus e della Nazionale di calcio femminile, per un biennio anche calciatrice del Paris Saint Germain. Dal 2018 porta avanti la battaglia dei diritti delle calciatrici come consigliere della Federcalcio, strada aperta nel 2001 da Milena Bertolini, attuale allenatrice della nazionale di calcio femminile. La capitana juventina il 30 novembre del 2020 è stata eletta anche vicepresidente dell’Associazione italiana calciatori (Aic), il sindacato dei calciatori fino a pochi mesi fa guidato da Damiano Tommasi ex calciatore della Roma.

L’elezione di Sara Gama è stata il frutto di lunghe battaglie portate avanti con coraggio nel calcio degli uomini, infastidito nel sentire parlare di tutela del diritto alla maternità e di professionismo delle calciatrici. Una questione risolta con l’approvazione della riforma dello sport e che i quotidiani sportivi, portavoce del potere del calcio che conta in Italia, hanno definito «spigolosa», un messaggio trasversale per coloro che si occuperanno di scrivere i decreti attuativi della riforma dello sport. L’elezione di Sara Gama alla vicepresidenza dell’Associazione italiana calciatori è il risultato anche delle politiche portate avanti negli ultimi anni dalla Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori, al quale aderiscono 64 paesi su scala internazionale.

Donne dirigenti
La Fifpro poche settimane fa ha preso la decisione di triplicare la rappresentanza femminile nei suoi organi direttivi ed entro il 15 marzo provvederà a individuare 12 donne che rientreranno nel programma «Women in football» destinato alla formazione di donne che opereranno nei posti di responsabilità del calcio professionistico internazionale dall’Uefa alla Fifa.

A scalfire il mondo del calcio maschile è stata pochi mesi fa la francese Stéphanie Frappart di 38 anni, prima donna ad aver arbitrato una partita di Champions League maschile, infatti è stata designata dall’Uefa a dirigere Juventus-Dinamo Kiev, disputata a Torino il 2 dicembre del 2020: «Minuta ma determinata» il commento della stampa sportiva italiana. Avrebbero fatto riferimento all’aspetto fisico, se ad arbitrare il match di Torino fosse stato un uomo?

Il fischietto
Se in Francia Frappart arbitra la domenica in serie A, senza suscitare scandalo e in Germania Bibiana Steinhaus è la prima donna ad arbitrare nella Bundesliga, il massimo campionato di calcio tedesco, in Italia il problema non si pone, i designatori arbitrali lo hanno risolto alla radice: zero arbitre nella Serie A e nella Serie B. A Romina Santuari e Cristina Cini è stato consentito di sentire l’odore della sfera di cuoio che la domenica rotola nel rettangolo verde, sono state nominate assistenti arbitro nella massima serie. Un ruolo importante, ma lungo la fascia del bordo campo, guai a metterle al centro del campo e dare loro un fischietto. Il fuorigioco è cosa complicata, dicono, la decisione di assegnare un rigore ancora di più, i tifosi si scatenerebbero. Meglio non esporle, anzi meglio tenerle fuori, come chiedono i dirigenti delle squadre importanti ai designatori arbitrali.

Potrebbero anche arbitrare, ma non a certi livelli. Eppure le ragazze con il fischietto iscritte all’Aia, l’associazione italiana arbitri, in Italia sono oltre duemila, circa un terzo hanno una fascia di età tra i 15 e i 19 anni, la fascia che conta il maggior numero di iscritte, ma tutte le donne aspiranti arbitre vengono utilizzate solo nei campionati provinciali e in quelli giovanili. La voglia di fischiare c’è, ma il calcio maschile non vuole sentire, preferisce tapparsi le orecchie. Qualche timida apertura in realtà c’è stata, come nel caso di Maria Marotta arbitra di Sapri, che ha diretto una gara di calcio maschile, ma in serie C. Certo la greca Eva Asderaki è stata il primo giudice ad arbitrare una finale maschile di Open Usa tra Federer e Djokovic nel 2015, e dieci anni prima la francese Sandra de Jenken è stata la prima donna ad aver diretto la finale di Coppa Davis, ma nel tennis si sta seduti, nel calcio bisogna correre. E alle donne non si addice fare le stesse cose degli uomini.