E’ andata in scena, al San Carlo di Napoli, un’opera di Čaikovskij finora inedita in Italia, L’incantatrice, basata sul dramma omonimo di grandissimo successo di Špažinkij e soprattutto sull’impressione profonda della Carmen di Bizet, che il musicista aveva visto nel 1876 a Parigi. Quando L’incantatrice va in scena, nel 1887, le critiche sono molteplici, ma forse alla fine la ragione è sul contenuto dell’opera. Carmen, si sa, più che una donna è un oggetto da possedere, la reificazione del desiderio maschile che pagherà con la morte la non accettazione di questo destino. La protagonista dell’opera di Čaikovskij, Kuma, è invece una creatura libera che si innamora – e il suo inno al Volga, nel primo atto, scorre come una dichiarazione d’amore – e che pagherà con la vita lo sconvolgimento che questo sentimento provoca nel cuore della società; a far morire Kuma sarà infatti un’integerrima madre e sposa, che annientando la rivale farà implodere ciò che pensava di salvare: la famiglia.

Il ruolo dell’ammaliatrice trova in Kuma un personaggio assolutamente alieno da ogni cupidigia o sfrontatezza, perché ciò che seduce è la sua naturalezza nell’amare, ma amare per lei significa anche rinuncia e quando le appare il giovane Jurij, figlio del principe suo amante in carica, abbandonare tutto e tutti è la scelta più ovvia e scontata. L’ispirazione dell’opera nasce – come per l’Evgenij Onegin dalla veglia notturna di Tat’jana – dal duetto tra il giovane principe venuto per uccidere la maliarda (anche lui per salvare l’onore della famiglia!) che invece lo affascina, e si sviluppa in quattro grandi momenti.

Il primo atto si svolge nella locanda di Kuma, dove uomini e donne cantano su un tessuto musicale cangiante, debitore della musica popolare ma piegato a descrivere un desiderio latente e ossessivo. Il secondo atto descrive la casa nobiliare del principe padre e di sua moglie e il dramma che si svolge tra i due coniugi, in cui la melodia viaggia a ondate senza approdare da nessuna parte, ma spegnendosi come parole inutili.

Il terzo e quarto atto brillano per i duetti squisiti e lancinanti, abbandono, languore, disperazione, qui Čaikovskij mischia le sue sublimi scene d’amore con un pasticcio di temi diversi, stregoni, filtri mortali, pistole, uscite e partenze (la potenza icastica della verdiana Forza del destino continua ancora a gravare sull’ispirazione degli operisti russi) fino alla catastrofe: Kuma muore avvelenata dalla principessa, Jurij viene ucciso dal principe, suo padre, per gelosia.

Dominare quest’intreccio non è semplice, nemmeno per Čaikovskij, e infatti la tensione musicale non è sempre all’altezza dei sentimenti che muovono i personaggi, gioca però, a favore dell’opera la messinscena e soprattutto il cast, tutto proveniente dal teatro Mariinskij di San Pietroburgo, che si muove nel contesto musicale con una disinvoltura e una credibilità assoluti, assecondati, più che diretti, dalla conduzione di Zaubek Gugkaev.