Avendo ricevuto dai governi di centrosinistra «una drammatica, tragica eredità che pesa sulla nostra economia», è finita come tutti sanno. Quello era il refrain di Silvio Berlusconi al governo. Per Matteo Renzi l’esperienza a palazzo Chigi è appena cominciata, ma è già sulla buona strada quanto a mettere le mani avanti, ancor più dopo la doccia fredda piovuta l’altro giorno da Bruxelles per gli «squilibri macroeconomici eccessivi».

A avergli lasciato un’eredità diversa da quella che si aspettava nel suo caso è stato un governo di larghe intese, ma pur sempre guidato da un esponente di centrosinistra: Enrico Letta, che per ora evita accuratamente di commentare le ripetute uscite del giovane premier sulla situazione economica che «non era quella che diceva» il suo predecessore scalzato. E anzi, riferiva alla Stampa di ieri Renzi, «sui conti c’è poco da dire, è stato addirittura Saccomanni a raccontarci che le cose stavano in un certo modo». «L’ipotesi che Letta abbia raccontato storie è assolutamente non vera», rispondeva sul Corriere l’ex ministro dell’economia. E se Letta tace, il lettiano Marco Meloni, senza riferirsi direttamente a Renzi, protesta: «Se fosse vero che qualcuno ha detto che i conti sono stati truccati, questo qualcuno ha dimostrato solo malafede o incompetenza o entrambe le cose. Siamo seri, nessuno cerchi alibi ma si lavori intensamente».

Tante critiche anche inattese all’ex sindaco, anche da parte di chi lo sosteneva, spiega invece lui, ma «tra la gente va bene», che nel titolo della conversazione con Federico Geremicca il quotidiano torinese traduce con un più orecchiabile (o meglio già sentito) «la gente sta con me», altra tipica rivendicazione berlusconiana. Parallelismo che la fa troppo semplice, ma certo, se i renziani si mettono pure a protestare con la Rai per la satira (Michele Anzaldi contro Virginia Piccolillo-Maria Elena Boschi a Ballarò), come dire, se la cercano.

Ma il premier va avanti, «l’Italia si può cambiare, la mentalità di chi vive di pregiudizio no», e «noi andiamo dritto con un sorriso» anche «di fronte alle critiche» sulle sciocchezze, twittava ieri all’alba Renzi, conversando con i suoi follower. Poi il presidente del consiglio riceve un tweet con una domanda preoccupata: Renzi parla di lavoro e crescita, si sarà mica iscritto alla Cgil?. Risposta: «Tranquillo Gaetano, è un rischio che non corro! Né io, né la Cgil…».

La leader del sindacato Susanna Camusso, che già l’altro giorno c’era andata giù piuttosto pensante con «Matteo», la prende piuttosto male: «Il presidente del consiglio ha un grande amore per gli strumenti mediatici. Io non sono tranquilla per il rapporto che lui pensa di avere con le parti sociali», ribatte dal congresso della Camera del Lavoro di Torino. E «si fa un grande delitto quando ci si immagina che si possa saltare il confronto tra le persone, sulle vertenze, sulle aziende». In proposito ricorda i precendenti della ministra dello sviluppo Federica Guidi, che da presidente dei giovani di confindustria sosteneva «l’abito su misura», la contrattazione individuale.
Poi, in attesa sul dossier 12 marzo al quale sta lavorando Renzi (lo dice lui in un altro tweet) il governo, la stoccata: «Il tempo non è infinito. Se dai un calendario senza dire il merito che affronti, è solo un calendario».