Altro che strumento diagnostico e macabro riflesso di ossa, le radiografie suonano, fanno rock, si trasformano in dischi. Se non ci fossero state loro, pochi in Unione Sovietica saprebbero di Louis Armstrong, Duke Ellington, Glenn Miller, Bill Haley o Elvis Presley. Tutto comincia negli anni Cinquanta. Da una parte il partito e gli integrati, dall’altra gli apocalittici, gli stilyagi (da stil), gli stilosi. La parola apparve per la prima volta in un articolo satirico di un quotidiano dell’apparato, era denigratoria e si rivolgeva a quei ragazzi che in origine ascoltavano – di nascosto – perlopiù vecchi dischi di jazz Usa (genere nusicale al bando, vera ossessione del partito) e che avevano eletto a inno controculturale Chattanooga Choo Choo di Glenn Miller.

Nel libro di Artemy Troitsky Compagno Rock- La vera storia del rock sovietico, i movimenti giovanili, la perestrojka (Fratelli Vallardi editori), apparso in Italia nell’87, si raccontava bene cosa succedeva quando uno stilyaga saliva su un bus: «pavone», «razza di scimmia», «non ti vergogni ad andare in giro come un pappagallo?», e giù epiteti simili. E poi i vestiti: pantaloni stretti e corti sopra la scarpa, lunghe giacche a scacchi, camicia bianca e cravatta (spesso sgargiante), grosse scarpe, capelli lunghi «alla Tarzan, incremati stile Grease e arricciati dietro con un ferro rovente».

Si trattava di una subcultura prettamente maschile – le poche ragazze, oggetto di commenti pubblici ferocissimi, avevano capelli corti stile taglio ungherese, tacchi e gonna a scacchi – dislocata in grandi città come Mosca, Leningrado e aree urbane come Tallin, Riga e Lvov il cui passato recente era occidentale (nella sfera sovietica solo dopo la seconda guerra mondiale). Racconta Troitsky: «La guerra fredda e la Cortina di ferro limitavano in modo forzato e crudele lo scambio di esperienze culturali. Tuttavia la Cortina cadeva di tanto in tanto; appena dopo la seconda guerra mondiale il paese fu inondato da dischi americani e altro materiale riportato dai posti in cui si trovavano i soldati e gli ufficiali sovietici. I cinema proiettavano film con Glenn Miller e Count Basie (Sun Valley Serenade e Stormy Weather, tra gli altri). Si leggevano Hemingway e Dos Passos. Nello spazio di due anni un’intera generazione ebbe modo di assorbire questi ritmi e il loro stile. Poi arrivò il discorso di Churchill a Fulton (sulla Cortina di ferro, ndr), nel Missouri, e il ricatto atomico di Truman. La Cortina si richiuse».

Sono anni difficili per gli stilyagi che sotto Stalin non se la passano troppo bene, ma anziché intervenire con mano pesante (troppe persone e in troppi posti) il partito si affida ai vari organi di comunicazione per predisporre una sistematica e perentoria denigrazione di massa (qui un documento tv anti stilyagi che ballano il jitterbug: https://www.youtube.com/watch?v=oefXgSUyoOA#t=84). Non solo: i ritrovi (sale da ballo o ristoranti in cui suonavano orchestrine vagamente jazz) venivano sottoposti a raid organizzati dal Komsomol (l’Unione comunista della gioventù) le cui armi principali consistevano perlopiù in forbici affilate. I ragazzi venivano spinti contro il muro, i capelli sforbiciati a regola d’arte (va da sé che a quel punto dovevano rivedere l’intero aspetto) e i calzoni danneggiati irrimediabilmente. Per chi segue uno stile specifico, eccole le vere tragedie. Nessun problema, invece, per la cosiddetta «gioventù d’oro», ovverosia figli dei membri del partito o della intellighenzia che allo stesso modo degli stilyagi – con comportamenti ben più eccessivi ma «tollerati» – seguivano i medesimi stili sonori e balli (tango, foextrot, jitterbug, lindy e in seguito rock’n’roll; di contro il partito raccomandava polka, valzer e quadriglia). Va da sé che chi entrava nelle grazie dei «giovani d’oro» aveva maggior accesso a dischi e libri. E così fino alle distensioni dell’era Khrushchev il cui processo di apertura culminò nell’estate 1957 con il Sesto festival internazionale della gioventù studentesca. In quell’occasione una vertigine di giovani stranieri invase Mosca, tra loro musicisti jazz, poeti beat, scrittori (tra i più noti Gabriel Garcia Marquez). «Perfino gli attivisti esteri – ricorda Troitsky – erano vestiti alla moda e sapevano ballare il rock’n’roll!». Anche per gli stilyagi l’aria si fa più fresca. Addirittura affiorano due fazioni: gli shtatniki (da shatat, stato, riferito agli Usa) e i beatnicki; i primi – simili ai mod britannici – indossavano abiti di manifattura estera, ascoltavano Gerry Mulligan (cool e bebop in genere) e avevano i capelli corti e schiacciati proprio come il sassofonista Usa; gli altri indossavano jeans, maglioni, scarpe da ginnastica e ballavano il rock’n’roll. E qui entrano in scena costole, teschi, vertebre, tibie. Alla fine degli anni ’50 la richiesta di dischi pop e jazz in Unione Sovietica era in massima crescita nonostante la scarsità di giradischi, registratori e soprattutto di materiale plastico su cui incidere musica. L’unica risorsa economica, abbondante e disponibile erano le lastre ai raggi X. Per pochi copechi le persone ne compravano a centinaia da ospedali e cliniche, altri si facevano radiografare apposta, altri ancora le sottraevano a genitori, parenti, amici. Le radiografie venivano affidate a mani esperte che le incidevano con strumenti ricavati da vecchi fonografi. Le lastre venivano arrotondate (misuravano dai 23 ai 25 centimetri) con le forbici (stavolta quelle giuste) e forate al centro con una sigaretta accesa. Eccolo il flexi disc prima del flexi disc. Polmoni e anche su cui venivano letteralmente ricopiati, bootlegati, orchestre jazz, Bill Haley, Pat Boone, Paul Anka, Elvis (noto soprattutto per ballate come Love Me Tender) o il nostro Robertino, idolo assoluto. Essendo copie – da 45 e 33 giri provenienti da paesi satelliti come Ungheria o Cecoslovacchia – la qualità era pessima. La «musica delle ossa» (o «le costole») veniva venduta sottobanco e costava a disco tra il rublo e il rublo e mezzo. Quasi sempre erano incisioni solo su un lato, quelli incisi su entrambi costavano il doppio. Chi realizzava o distribuiva «costole» rischiava molto, fino a cinque anni nei campi di lavoro. Non di rado il partito stesso immetteva sul mercato finte radiografie con pochi secondi di musica e poi l’annuncio beffardo: «Pensavi di sentire le tue musiche, eh? Gli ultimi ritmi?». Atroce. L’intero processo di realizzazione e fruizione dei dischi a raggi X è ben descritto nella scena iniziale di Stilyagi, il cult film russo del 2008 (https://www.youtube.com/watch?v=BXEzpdEFsPc#t=301). Ritrae anche le incursioni del Komsomol. E poi ci sono i Puro Instinct, band californiana che anni fa incise Stilyagi, brano in cui menzionavano anche i magnitizdat, ovverossia i primi registratori a bobine, molto cari ma consentiti negli anni Sessanta in Unione Sovietica. Il dissenso è passato anche da lì, con canzoni, poesie e racconti che passavano di mano in mano, ma questa è un’altra storia. Le «costole» sono un classico dimenticato del collezionismo e si aggirano tra i 60 e i 200 euro a pezzo: più lo scheletro è evidente più sale il prezzo (si acquistano qui: http://wanderer-records.com/wanderer.php?keyword=film&media=flexi&showperpage=50&page=2&showperpage=50&page=1). Sembra che in occasione del prossimo Record Store Day del 2015, il 18 aprile, alcuni pezzi verrano messi in vendita in negozi selezionati. Attendiamo.