Quando si dice, a ragione, che la lotta di classe l’hanno vinta i ricchi non bisogna pensare soltanto alle conseguenze che questa vittoria ha avuto sul piano materiale (distribuzione del prodotto sociale, sfruttamento e svalutazione del lavoro, precarietà). C’è anche un dato di coscienza, che rende questa vittoria quasi totale. I dominati hanno finito per interiorizzare il punto di vista dei dominanti, accettando come «naturale» tutto ciò che contribuisce a rendere la loro esistenza grama ed insicura. Se alla base delle relazioni umane ci sono «naturalmente» la competizione e la concorrenza, non può suscitare scandalo che in questa gara qualcuno vinca e qualcuno perda, che qualcuno ce la faccia e tanti altri rimangano indietro.

C’entra qualcosa tutto questo con l’attuale situazione che vive il nostro Paese? Difficile negarlo. C’è stato un momento in cui abbiamo pensato, soprattutto a sinistra, che la pandemia, certificando il fallimento delle politiche neoliberiste e pro-mercato degli anni scorsi, potesse agire da detonatore per un nuovo ciclo di lotte sociali. Illudendoci, per di più, che il nuovo approccio delle istituzioni europee alla crisi potesse contribuire a sanare alcune ferite rimaste aperte dalla crisi precedente.

Era naturale, razionale, aspettarsi un crescendo di mobilitazioni, di iniziative dal basso, per la piena occupazione, contro il lavoro precario, per la sanità pubblica ed i beni comuni, per rovesciare il rapporto tra tecnologia e lavoro vivo. Anche per condizionare le scelte del governo nella pianificazione delle «riforme» che l’Europa richiede per poter spendere i soldi di Next Generation Eu. Niente di tutto questo. Il «governo di tutti» va avanti con la sua agenda neoliberista, ben definita attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), e le piazze si riempiono per dire no al green pass.

Beninteso, ci sono ragioni anche nella protesta contro la «carta verde». Ma è paradossale che in un Paese stremato da un lungo ciclo di riforme antisociali, che entra nella pandemia con le ossa rotte e ne esce letteralmente a pezzi, tra lavoro che non c’è o è sottopagato, frantumato e iper-sfruttato, livelli di povertà vergognosi (quasi sei milioni i poveri assoluti nel 2020 secondo l’Istat) e diritti fondamentali negati, come quello alla salute, soprattutto nel Mezzogiorno, lo scontro sia tra sostenitori e detrattori del green pass, tra vaccinati e no.

E pensare che un tempo le campagne vaccinali segnavano il discrimine tra i governi progressisti, sensibili ai bisogni del popolo, e quelli reazionari, conservatori, oligarchici. Ma tant’è. Le piazze di questi giorni dimostrano che tutto ciò che afferisce alla condizione materiale dell’esistenza – lavoro, casa, reddito – non riesce più a rappresentare il sottostante di lotte generali per il cambiamento della società. Ci sono brillanti episodi di resistenza (ultimo il caso della GKN di Firenze), ma non (più) la coscienza di diritti collettivi da far valere secondo uno spirito di classe.

È una vittoria del neoliberismo su tutta la linea. Non esistono le classi, ma gli individui, imprenditori di se stessi, che rischiano e competono fra di loro per sopravvivere meglio. Ha detto bene Landini dal palco di piazza San Giovanni a Roma lo scorso 16 ottobre, a proposito della competizione distruttiva tra lavoratori, figlia del divide et impera praticato dalle classi dominanti in questi anni. Ma la risposta a questo problema non può venire dagli stessi lavoratori, spontaneamente. Serve il conflitto sociale, da rianimare, e serve la lotta delle idee. E’ anche un problema di egemonia. Quella che il capitale è riuscita a conquistare investendo nella sua «cultura» di parte, spacciata anche come «scienza» nel caso di certe teorie economiche.

Non si capisce quello che sta accadendo nel Paese, squadrismo neofascista compreso, senza tener conto degli effetti devastanti che l’ideologia del capitale ha avuto sulla percezione che di sé oggi hanno i ceti subalterni. Ci tolgono i diritti, ci vogliono schiavi del mercato, consumatori seriali e indebitati, ma quel che conta è non subire l’obbligatorietà del certificato verde. Più di qualcosa è andato storto. E non basterà lo scioglimento di Forza Nuova, purtroppo, per ritornare sul binario giusto.