Mark Zuckeberg che delizia la platea della prestigiosa Università Tsinghua di Pechino con il suo mandarino è una notizia che non lascia indifferente la Rete. Il boss di Facebook è stato invitato nell’ateneo più importante della Cina come «visiting professor» e il primo incontro con gli studenti è stato sottolineato da applausi della platea. Nel suo impegno accademico Zuckeberg parlerà di economia e innovazione. Di sicuro userà parole misurate per non infastidire i dirigenti di Pechino, che esercitano – con risultati alterni – un controllo su quanto avviene on-line. Inoltre, fanno del nazionalismo economico il loro cavallo di battaglia: da qui l’endorsement verso imprese rigorosamente made in China.
Zuckeberg è consapevole che il mercato cinese è un piatto ricco che vede però Facebook tra le imprese meno rilevanti. Dunque farà di tutto per non suscitare malumori tra i dirigenti cinesi. Una cautela che non gli costerà molta fatica. È infatti un convinto sostenitore che il business is usual; e che poco importa se in nome di esso si sacrificano i diritti umani. D’altronde i diritti umani sono una merce di poco valore rispetto a quanto si può guadagnare in Cina. E in Rete i commenti sulla performance pechinese di Zuckeberg si sono sprecati, ricordando che il giovane rampante ha fatto montagne di profitti sulla «libertà di chiacchera». Ma in quel caso, la chiacchera serviva ad accumulare dati da rivendere al miglior offerente. Ma la chiacchera, come dicevano i saggi, appartengono al mondo delle ombre. Ci sarà poi qualcuno che illuminerà la caverna. Zuckeberg spera solo che questo non avvenga. Perché the business is usual.