Figura atipica nel panorama musicale italiano, Caterina Caselli rappresenta non una ma diverse donne. Dalla ragazzina tenace che scalpita a Sassuolo dove studia musica e coglie al volo l’opportunità di spostarsi a Roma, all’idolo giovanile capace di conquistare legioni di fan, classifiche e dettar legge nel campo della moda. Poi c’è Caterina che si sposa e diventa la signora Sugar, ha un figlio e dopo qualche anno di «latitanza» decide di ritornare ma a modo suo. Non più cantante ma discografica e soprattutto talent scout. Caterina Caselli, una vita, cento vite – diretto da Renato De Maria presentato alla Festa di Roma che vedremo sul grande schermo dal 13 al 15 dicembre distribuito da Nexo Digital – più che un documentario sembra una confessione davanti alla camera che in circa due ore condensa tutta la vita dell’artista emiliana.

UN RACCONTO che alterna aneddoti e testimonianze di musicisti che grazie a lei hanno ottenuto visibilità e successo, un elenco lungo e quasi impressionante di talenti: da Francesco Guccini ad Elisa passando per Paolo Conte che per Caterina scrive quello che – a parere dell’interprete – è il pezzo che più lei sente e la rappresenta: Insieme a te non ci sto più. E poi Andrea Bocelli (l’intuizione del «belcanto» da esportazione) e i Negramaro. Alternando aneddoti intimi a testimonianze pubbliche, ne emerge il ritratto di una donna che ha attraversato il tempo e spesso lo ha anticipato, attraverso un percorso esistenziale coraggioso, controcorrente, e una vita che non sempre è stata facile.

NEL DOCUMENTARIO dice di avere «un demone dentro», così Caterina nell’Italia del boom si sposta dalla provincia alla Capitale: «all’epoca- sottolinea – era come dire che andavo a Londra o a New York. Mi esibivo con il mio gruppo dove avevo imparato anche a suonare il basso e durante una serata incontrai Maurizio Vandelli dell’Equipe 84. Mi spinse ad andare a Roma, ma c’era l’ostacolo di mia madre. Lui la convinse e così mi ritrovai a suonare al Capriccio e poi al Piper, dove mi notò il produttore discografico che sarebbe diventato mio suocero, Ladislao Sugar».
Carattere di ferro, forgiato dalla tragedia familiare: davanti alle telecamere affronta per la prima volta il suicidio del padre quando era poco più che adolescente: «Non si parlava di queste cose, di depressione, bisognava quasi nasconderle».
Solo davanti ai Vergottini, i celebri hairstylist, capitola: «Mi dissero se non mi vergognavo ad andare in giro così. Tagliarono i capelli e li tinsero di biondo». Casco d’oro invece fu invece un’idea di un giornalista che si ispirò al soprannome di Simone Signoret. La trasformazione a manager è del 1970, quando fonda l’etichetta Ascolto. «Eravamo molto avanti, produssi un disco di Mauro Pagani forse il primo esempio di world music, e uno degli Area». E i bilanci inevitabilmente in rosso vengono rimessi in pareggio grazie al successo di Pierangelo Bertoli. Il resto è storia.