Fra i temi caldi di queste settimane è indubbiamente la discussione sulla scuola della ripartenza. Una discussione che ha il merito di portare al centro del dialogo pubblico una questione, quella del funzionamento del nostro sistema scolastico e formativo, di fondamentale importanza per il futuro del paese.
Era da tempo – forse dai lontani dibattiti sulla riforma della scuola all’epoca dei primi governi di centro-sinistra – che l’argomento non suscitava tanta attenzione: se sapremo tradurla in politiche efficaci, la terribile esperienza che abbiamo attraversato avrà avuto almeno un effetto positivo.

Fra i contributi più controversi alla discussione, l’articolo con il quale qualche giorno fa, su Repubblica, Alessandro Baricco ha proposto, fra le altre cose, di «disintegrare il totem classe». Una proposta che ha suscitato reazioni contrastanti: Galatea Vaglio, su valigiablu.it, ne ha ad esempio aspramente criticato il carattere astratto (per l’assenza di distinzioni fra gradi e ordini scolastici diversi), ricordando che almeno per i più piccoli la costituzione di gruppi di età omogenea risulta pedagogicamente e psicologicamente preferibile.
E tuttavia questa risposta è, credo, a sua volta insoddisfacente: se «disintegrare le classi» è almeno in alcuni casi problematico, l’eccessiva centralità dei gruppi classe – così come l’eccessiva rigidità dei confini disciplinari – costituisce un problema indubbio della nostra scuola: un problema presente in forme diverse in gradi e ordini scolastici diversi, ma comunque largamente trasversale.

Gli spazi delle nostre scuole – almeno dalla primaria alle superiori – sono costituiti prevalentemente da aule di classe, e i tempi del lavoro didattico sono scanditi dalla successione delle ‘materie’: mancano o sono assai ridotti terzi spazi e terzi tempi legati all’approfondimento degli interessi individuali, a forme più libere di socializzazione, al lavoro collaborativo su temi interdisciplinari o non strettamente disciplinari. E questa carenza rappresenta un forte elemento di ritardo del nostro sistema formativo.

All’alternativa secca fra gruppi classe rigidi e aggregazioni liquide si possono insomma sostituire modelli più flessibili, in cui i gruppi classe sono integrati – e non necessariamente sostituiti – da gruppi di lavoro e di interesse.
Compito certo non facile, e a sua volta da articolare diversamente in situazioni diverse. C’è però uno strumento trasversale, troppo spesso assente o marginale nelle nostre scuole, che potrebbe offrire una prima, salutare ‘iniezione’ di terzi spazi e terzi tempi: una biblioteca scolastica funzionante, concepita non come deposito di libri ma come centro culturale attivo e propositivo, in cui integrare informazione tradizionale e digitale, e lavorare sull’approfondimento degli interessi e non solo sulla didattica disciplinare.

È a questa idea di biblioteca scolastica che il Forum del libro ha dedicato un appello sottoscritto da numerose istituzioni – da Amnesty International a Save the Children, dall’Associazione Italiana Biblioteche alle associazioni dei librai, dal Coordinamento delle reti di biblioteche scolastiche al Movimento di Cooperazione Educativa, da Ibby Italia al Centro studi scuola pubblica – e che da lunedì sarà aperto anche alle adesioni individuali (la lista dei primi firmatari è già assai lunga e comprende molte figure di spicco del mondo della scuola e della cultura).

L’appello – disponibile sul sito del Forum – è già stato oggetto di un primo incontro con il Ministro Bianchi.
Le risorse e l’attenzione dedicate in passato alle biblioteche scolastiche sono state purtroppo minime (con l’eccezione rilevante del breve ministero di Tullio De Mauro). Se sapremo correggere questo errore, sarà stato fatto un primo passo – un passo importante – verso la scuola di cui abbiamo bisogno per uscire dall’emergenza.

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*(Università Roma Tre)