Tra la fine degli anni Ottanta e per tutti i Novanta fu combattuta per le strade di diverse metropoli europee una dura battaglia antifascista. Alla caduta del muro di Berlino l’estrema destra riorganizzò le proprie fila, tentando lo sfondamento politico. In questo passaggio epocale, insieme alla crisi del comunismo novecentesco, la trasformazione di diversi paesi europei, destinatari di consistenti flussi migratori, in società sempre più multietniche e multiculturali, consentì anche lo scatenamento di una vera e propria battaglia contro l’«invasione straniera». Da qui l’onda lunga di una crescita delle destre populiste e radicali, fino ai giorni nostri, con la conquista di consensi impensabili nel secondo dopoguerra, raccolti nelle fila dei ceti medi impoveriti e tra una classe operaia ormai resa orfana di riferimenti politici e ideali da una sinistra in piena crisi di identità. Da qui la comparsa di un nuovo squadrismo, di inedite formazioni razziste e neonaziste, come di nuovi aspiranti führer.

Da allora prese però anche corpo una nuova stagione antifascista, volta a contrastare questi fenomeni attraverso la pratica militante e lo scontro diretto, messa in campo inizialmente da gruppi sparuti di giovani, diversi fra loro, che ben presto si strutturarono in reti organizzate. Una pagina poco studiata se non rimossa dalla memoria di una sinistra sempre più perbenista, ingenuamente legalitaria e proprio in quegli anni incapace di confrontarsi con la violenza dell’estrema destra nelle strade e nelle periferie delle metropoli.

Di questo tema tratta Antifa. Storia contemporanea dell’antifascismo militante europeo di Valerio Gentili (Red Star Press, euro 14, pp. 173), seguito ideale di Bastardi senza storia (Castelvecchi), che era invece incentrato sulla ricostruzione della resistenza organizzata, dagli «Arditi del popolo» in Italia, fino alle diverse formazioni della sinistra tedesca, dalla Rfkb («Lega dei combattenti rossi di prima linea») all’«Antifaschistische Aktion», che tentarono negli anni Venti e Trenta di sbarrare la strada, armi alla mano, a fascismo e nazismo.
Nel contesto di un’Europa alle prese, a partire dagli anni Ottanta, con l’economia globalizzata e il dilagare del radicalismo di destra, vengono ora presi in esame tre casi di antifascismo militante dell’epoca recente, quello tedesco, quello inglese e quello francese.

La strage di Rostock

Centrale fu la Germania, dove, dopo la liquidazione del «socialismo reale», si affacciarono da un lato pulsioni da grandeur nel contesto europeo; dall’altro, nelle regioni dell’Est, segnatamente nella classe operaia, il panico sia per la perdita delle garanzie sociali assicurate dal vecchio regime sia per l’invasione straniera con la sua mano d’opera a basso costo. Si aprirono gli spazi per un’estrema destra violenta e xenofoba. Vennero rispolverati i colori nero-bianco-rosso del Terzo Reich, si registrò uno sviluppo senza precedenti di gruppi e bande composte spesso da giovanissime teste rasate, cominciarono le aggressioni contro gli immigrati. Un’escalation impressionante, fino agli attacchi incendiari dell’ostello di Rostock, stipato di rifugiati vietnamiti, tra gli applausi della popolazione e la benevolenza della polizia locale, nell’agosto 1992, e la strage di Bergisch Gladbach, il 29 maggio del 1993, dove morirono nel rogo della loro abitazione due donne e tre bambine turche. Sei mesi prima a Moelln, in un incendio simile, erano perite un’altra donna e altre due bambine turche.

In questo clima, grazie all’iniziativa di diversi gruppi dell’Autonomia, maturò una risposta che diede vita all’«Antifaschistische aktion/Bundeswite organisation», meglio nota come Antifa. Si riafferrò il vessillo delle squadre di autodifesa, che nel biennio precedente la vittoria nazista si erano scontrate con le camicie brune, con le due bandiere sovrapposte in un cerchio, ora non più entrambe rosse, ma una rossa e una nera, in omaggio alla corrente libertaria. Si passò ai fatti. Centinaia furono le azioni che vennero portate a termine contro i neonazisti. Molte vincenti sul piano dello scontro fisico. A fronte di un antifascismo tradizionale, assolutamente inefficace a contrastare l’estrema destra nelle strade, anche alcune comunità di immigrati, kurdi e turchi in particolare, approntarono le loro squadre di autodifesa.

Il tratto comune

In Germania l’esperienza fu più politica rispetto a quelle decisamente più di strada dell’Afa inglese (Anti fascist action) e dei Chasseurs (i Cacciatori) francesi, con le loro gang giovanili, tra devianza e ribellismo, e il look con bomber, anfibi, cinte borchiate e crani parzialmente rasati, assai simile a quello del nemico, proprio per contendergli influenza e simpatie. Il tratto comune fu l’opposizione al neofascismo risorgente e l’accettazione del confronto fisico con esso, con il conseguente abbandono di un atteggiamento vittimistico. Riempirono un vuoto. Indubbi furono i successi, l’estrema destra subì cocenti sconfitte. Parigi, fu letteralmente ripulita «a forza» dagli squadristi, ma più in generale, in Inghilterra e in Germania i neofascisti e i neonazisti furono contrastati nelle periferie metropolitane e fatti regredire.

Ciò che accadde in Europa negli anni Ottanta e Novanta ci riporta all’oggi. A quanto avviene in Ungheria, dove riemergono i fantasmi di chi collaborò coi nazisti, incarnati da Jobbik con i suoi gruppi paramilitari, attivi nel colpire ebrei e zingari, o in Grecia, dove in uno scenario di crisi senza paragoni in Europa, «Alba dorata», con una propria polizia parallela, fuori e al di sopra della legge, risfodera il manganello contro gli avversari.
Il libro di Valerio Gentili (ricchissimo di foto, manifesti e giornali dell’epoca) risulterà forse un po’ scomodo se non decisamente scorretto per i dettami classici della sinistra italiana. Ma una riflessione, magari anche una ricostruzione, sull’antifascismo di quegli anni, anche da noi si impone. Basterebbe ricordare quando, nel novembre 1992, a Roma, dopo che furono incollate stelle gialle su alcuni esercizi di commercianti ebrei, un centinaio di giovani provenienti dal ghetto assaltò con spranghe e catene la sede di via Domodossola del Movimento politico di Maurizio Boccacci. O quando, in anni recenti, la notte del 12 aprile 2007, prima dell’inaugurazione, andò a fuoco la sede di «Cuore nero» a Milano. Non proprio un antifascismo tradizionale o da «carta bollata».