Nel campo palestinese di Burj el Barajneh, nella periferia meridionale di Beirut, Mario Rizzi (Barletta 1962, vive a Berlino) è di casa. Insieme, percorriamo vicoli stretti dove la luce del giorno stenta a farsi strada nella massa di cavi elettrici che incombono minacciosi, intrecciandosi come le parole di un romanzo. Niente edulcorazioni per questa realtà «provvisoria» che è diventata «normale».
La nonna di Nour, giovane insegnante che è stata anche allieva del primo kindergarten creato da Anni Kanafani nel 1974 proprio qui a Burj el Barajneh, abita nel campo dal 1948. La Palestina è in quella mappa dipinta sul fondo azzurro di un muro scrostato a forma di donna incinta, nella pronuncia araba che mantiene le sue peculiarità ma, soprattutto, nella costante consapevolezza della totale mancanza dei diritti umani basilari.
Artista e filmmaker, Rizzi è da sempre attento alle tematiche sociali legate al mondo arabo e mediorientale a cui ha dedicato la trilogia Bayt (Casa) iniziata con il film Al Intithar, girato nel 2012 nel campo profughi siriano di Zaatari, seguito da Kauther dedicato all’attivista tunisina Kauther Ayari per concludersi con The Little Lantern (2019) con cui la Fondazione per le arti contemporanee in Toscana – Centro Pecci di Prato (che a novembre ospiterà la trilogia), ha vinto il secondo premio della 4/a edizione di Italian Council, primo bando internazionale a sostegno dell’arte contemporanea italiana promosso dalla Direzione generale arte e architettura contemporanee e periferie urbane e Mibac.

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L’artista è a Beirut da fine dicembre per la realizzazione di questo film incentrato sulla figura di Anni Kanafani in cui confluiscono letteratura, opera teatrale e relazione con i bambini. Fonte d’ispirazione è il racconto The Little Lantern scritto nel ’63 da Ghassan Kanafani (1936-1972) per l’ottavo compleanno della nipote Lamis. «Per non romanticizzare né Anni né i palestinesi ho decostruito la favola per creare un piano diverso tra realtà e fantasia – spiega Rizzi -. Nel mio adattamento ho tradotto in palestinese il racconto originariamente scritto in arabo classico, con qualche parola aggiunta o modificata, inserendo in libanese il dialogo di Antigone e Ismene dall’Antigone di Sofocle, una mia libera interpretazione che vuole essere la presa di coscienza di quello che sta avvenendo nella storia».
In due fra i più importanti centri culturali della capitale libanese l’artista con la cooperazione della Ghassan Kanafani Cultural Foundation ha messo in scena lo spettacolo teatrale The Little Lantern al Tournesol Theatre e la performance My dear Lamis a Dar El-Nimer For Arts & Culture.

Nel film «The Little Lantern», le figure femminili sono due, perché insieme ad Anni Kanafani si parla anche di Lamis che nell’attentato dell’8 luglio 1972 perse la vita con Ghassan Kanafani…
Nel settembre 2016, quando andai a trovare Anni a Valby, nella periferia di Copenaghen, nella casa dove ogni anno trascorre un mese estivo, lei mi donò questo libro che non conoscevo. Leggendolo al ritorno in treno, nel breve tragitto fino a Copenaghen, trovai subito la chiave del progetto. Nella storia c’è una donna, la principessa che per poter diventare regina dovrà portare il sole nel palazzo, altrimenti perderà quel diritto e verrà rinchiusa in una cassa di legno. Per Bayt, la mia trilogia al femminile, ho pensato ad Anni Kanafani perché, pur non essendo araba, dal ’61 ha sempre vissuto in Libano. Da quando ha conosciuto Ghassan, figura mitica e mitizzata di cui, dopo la morte, ha creato la dimensione internazionale anche attraverso la fondazione che porta il suo nome, insieme ai figli Fayez e Laila. Anni ha accolto la sfida con la creazione in sei campi palestinesi in tutto il Libano di asili e strutture per bambini e adolescenti anche con bisogni speciali. Inoltre, ha creato le librerie, che ha chiamato Culture Club e i centri di formazione per gli insegnanti d’asilo che sono alla base della sua idea di resistenza.
Tutto questo ha continuato a esistere anche nei quindici anni di guerra civile. Ma ho voluto creare un frame artistico per il progetto, inserendo le interviste ad Anni in un programma molto più ampio. Fin dall’inizio, l’idea era di realizzare un’opera teatrale con i bambini del kindergarten di Burj el Barajneh. Lo spettacolo è stato co-diretto da me e Aliya Khalidi e si è creato un gruppo formato da persone provenienti da diversi mondi, dall’attrice professionista Mira Sidawi alle insegnanti. Con gli alunni dell’asilo e gli adolescenti, a cui sono state affidate le parti recitate, ho scoperto la capacità di dirigere – un’esperienza completamente nuova per me. Quanto a Lamis, figlia della sorella di Ghassan, era la sua prima nipote e anche un po’ la sua musa. Per ogni compleanno, lui scriveva racconti per lei che poi illustrava, amando dipingere. Lamis è la vittima innocente.

Walid Sadek nel suo scritto Éloge au Preface offre un’interessante riflessione che mi ha portato a considerare la prefazione scritta da Ghassan in The Little Lantern. Dice: «Mia cara Lamis questa storia crescerà con te». Purtroppo non è stato così. Forse, però, il legame più forte con lei è nato nel momento in cui sono andato con Anni nel cimitero dei Martiri della Palestina. La sua tomba non è accanto a quella dello zio curata e con fiori freschi, perché ce n’è un’altra in mezzo. Nel vedere quel sepolcro trasandato ho chiesto ad Anni il permesso di occuparmene e l’ho pulita e sistemata. È stata la prima volta che ho visto Anni, che è una persona discretissima, mostrare un’emozione.

«My dear Lamis » è anche il titolo della performance per Dar El-Nimer …
Mi è venuto in mente France/tour/détour/deux/enfants di Godard in cui il regista fa delle domande a due adolescenti per provocarli e filmare la loro reazione. Ho pensato di fare una cosa simile con tre bambine del kindergarten di Burj el Barajneh che, involontariamente, rappresentano tre realtà del campo stesso: Aseel è palestinese, Sawsan siriana e Limar palestinese-siriana. Ho realizzato un filmato di 18 minuti in cui le bambine mi raccontano, a modo loro, The Little Lantern, poi rispondono alle mie domande, attraverso la voce di una narratrice, riportando la favola alla loro realtà. «Perché non c’è luce nel palazzo?», chiedo. «Perché non c’è il generatore», risponde una di loro, oppure «perché la principessa non ha pagato l’elettricità». «Allora è povera?». Aseel risponde: «È una principessa gentile che ha dato via tutto diventando povera». Nel loro esprimersi, c’è tutta la performatività e la creatività di queste bimbe di quattro, cinque anni.

Lei ha messo in scena la realtà accanto alla finzione…
La storia della piccola principessa inizia con la morte del padre che le lascia un testamento che le viene comunicato da un uomo saggio. Sarebbe diventata regina solo una volta fatto entrare il sole nel palazzo. Il saggio le rivela anche altre due cose: ha un tempo limitato, quello in cui la candela si spegne, e dovrà riuscire nell’impresa da sola. Uno dei punti per me importante – lo era anche per Ghassan come mi ha confermato Anni – è che la principessa va contro questa disposizione: decide di coinvolgere gli altri. Va sulla montagna per cercare di catturare il sole che però non riesce a prendere e, non sapendo come fare – piangere su te stessa non serve a nulla – decide di dare un premio in gioielli a chi nel reame le darà la soluzione.
Nella storia è un uomo, mentre nel mio spettacolo è una donna, che si reca a palazzo con una lanterna, ma viene cacciata dalle guardie che pensano che sia pazza. La principessa la vede allontanarsi ma ormai è troppo tardi. Allora chiede alle guardie di radunare a palazzo ogni persona che abbia una lanterna. Arrivano tutti, ma poiché sono troppi non riescono ad entrare. La principessa decide di far abbattere le mura dell’edificio – in scena ho creato un muro di sacchi come quelli delle trincee – così finalmente la luce del sole filtra nel palazzo e lei viene incoronata. Nell’opera teatrale volevo trasferire il processo creativo anche sul palcoscenico, ecco perché c’è il tavolo con le sedie e la maestra Nour (in arabo vuol dire luce) con i bimbi che, quando non recitano, tornano a disegnare, come fanno quotidianamente nel loro kindergarten.
Lo spettacolo inizia con il compleanno di Lamis che spegne le candeline e con i bambini che le donano il libro. La narratrice ha un doppio ruolo è anche genitore: porta Lamis a letto, in primo piano sul palcoscenico, e le racconta la fiaba. I significati pedagogici e politici sono chiari. Per Ghassan bisogna agire attraverso la cultura. Una cultura che deve venire dall’alto e dal basso: non può esserci solo il popolo o l’élite intellettuale.