I tempi di Moby Dick sono passati da un pezzo. Anzi, sembrano appartenere a un mondo definitivamente scomparso, quando l’uomo nutriva una certa soggezione verso i grandi animali. Oggi questi non suscitano più alcun timore e, quando non sono sfruttati e uccisi, vengono ignorati nelle loro basilari necessità. Come quella di circolare liberamente nei loro habitat.

È PROPRIO IL CASO DELLE BALENE, VITTIME sempre più numerose di collisioni con le grandi navi che circolano a grandi velocità, in mari sempre più trafficati. Un fenomeno chiamato whale ship strikes, diventato negli ultimi anni la principale minaccia per questo grande mammifero marino.

NEL 2020 SONO STATE ALMENO ventimila le balene uccise da navi mercantili, da crociera e da pesca, una cifra quadruplicata in venti anni, se si pensa che nel 2000 erano cinquemila. Anche perché il traffico marittimo, che è aumentato del 50% nell’ultimo decennio, continua a crescere a ritmi vertiginosi. Soprattutto nel Mediterraneo che, nonostante rappresenti solo lo 0,32% del volume totale di tutti gli oceani del mondo, accoglie il 19% del traffico navale globale.

LA BALENOTTERA COMUNE (che può arrivare fino a 26 metri di lunghezza) e il capodoglio (fino a 18 metri), sono le due specie di cetacei più minacciate proprio a causa della stazza che rallenta i loro movimenti quando salgono in superficie per respirare. Dal canto suo, chi comanda un cargo di decine di metri spesso non riesce a vedere un animale sotto prua e le dimensioni di queste navi generano un abbrivio tale che rende impossibile evitare la collisione. Il risultato è che a volte chi è ai comandi nemmeno si accorge di aver investito una balenottera o un capodoglio.

IL MAGGIOR NUMERO DI INCIDENTI si verifica durante i mesi estivi, quando il traffico marittimo, in particolare di traghetti e barche private, raggiunge il suo picco, e le aree di maggiore rischio sono: lo stretto di Gibilterra, le isole e il bacino delle Baleari e la costa catalana, il Mare di Alborán orientale, la Fossa ellenica, il Santuario Pelagos. Proprio su quest’ultimo è stato approvato lo scorso 15 dicembre il nuovo Piano di Gestione per i prossimi 6 anni, nell’ambito dell’ottava conferenza delle Parti dell’accordo Pelagos di cui l’Italia ha appena assunto la presidenza.

IN QUESTA VASTA AREA DEL MEDITERRANEO, secondo uno studio pubblicato nel 2020 e condotto da Tethys in collaborazione con British Antarctic Survey, International Fund for Animal Welfare, QuietOceans, Souffleurs d’Ecume, Wwf France, i grandi cetacei censiti con segni di collisione sono stati in tutto 426, di cui 285 spiaggiati e 141 sopravvissuti, anche se le cifre, che nella migliore delle ipotesi partono dagli anni 70, sono sicuramente sottostimate. Questo perché, secondo i ricercatori, l’attenzione a queste tematiche era minore in passato ma soprattutto perché solo una frazione di animali ha finito per spiaggiarsi e quindi è rientrata nel conteggio.

LA MAGGIOR PARTE DELLE BALENE MORTE, infatti, si deposita sul fondo del mare e solo il 10% viene portato a riva. Si tratta dunque di un massacro silenzioso, evento ancora più grave se si pensa al ruolo fondamentale di questi animali per l’ecosistema, contro il cambiamento climatico: una balena nel corso della sua vita assorbe circa trenta tonnellate di emissioni di CO2, evitando che finiscano nell’atmosfera.

IN UNA RECENTE VALUTAZIONE IUCN (International Union for Conservation of Nature’s Red List of Threatened Species), pubblicata lo scorso 9 dicembre le balenottere sono definite «in pericolo» a causa di un notevole calo numerico nella loro popolazione.

«QUESTI MAMMIFERI – DICE SHARON LIVERMORE, direttore della Conservazione Marina di Ifaw – non stanno morendo per cause naturali, sono stati uccisi». Secondo l’Ifaw è verosimile stimare che la sottopopolazione di balenottere comuni del Mediterraneo sia scesa al di sotto dei 1.800 individui maturi. Un declino destinato a continuare se non verranno attuate urgentemente misure per fermarlo.

«PER EVITARE LE COLLISIONI – AGGIUNGE Livermore – basterebbero, in alcune zone, piccoli cambiamenti di percorso delle navi e in generale una riduzione della velocità di crociera». Insomma, ci vuole una seria campagna di sensibilizzazione delle compagnie marittime e degli operatori navali. Un punto su cui tutti convergono e che costituisce anche una delle raccomandazioni con cui si è chiuso l’ultimo meeting di Accobams (Agreement on the Conservation of Cetaceans of the Black Sea, Mediterranean Sea and contiguous Atlantic area), a cui fanno capo 24 paesi e che si è svolto a fine novembre 2021. Le azioni concrete già si vedono e coinvolgono principalmente le Ong che si occupano di ecosistemi marini.

IFAW, L’UNICA ORGANIZZAZIONE che ha lo status di osservatore nell’Imo (International Maritime Organization) ha costituito, nell’aprile 2021, insieme a Oceancare, Pelagos Cetacean Research Institute e Wwf, una coalizione proprio per promuovere campagne indirizzate alle compagnie che transitano prevalentemente nella zona della Fossa Ellenica.

D’ALTRO CANTO IL PROGRAMMA Friend of the Sea della World Sustainability Organization ha lanciato di recente due iniziative di certificazione: Friend of the Sea e Whale-Safe. La prima è la più completa ed è indirizzata a quegli operatori di navigazione e linee di crociera che hanno implementato pratiche di pesca sostenibile, la seconda invece certifica l’impegno delle navi a proteggere le balene e prevenire le collisioni.

I RISULTATI GIA’ SI VEDONO PERCHE’ Seatrade e GreenSea, due delle principali compagnie di navigazione, sono già certificate Friend of the Sea per la navigazione sostenibile. Altre due compagnie sono in fase di audit e la loro certificazione sarà comunicata entro la prima metà del 2022.

INOLTRE, PER MOTIVARE GLI OPERATORI a rispettare i regolamenti di rallentamento esistenti e a introdurre sistemi di bordo per ridurre ulteriormente il rischio di collisioni, Friend of the Sea ha realizzato uno studio che analizza e classifica l’impegno delle linee di crociera per ridurre gli impatti con le balene. Carnival, Hapag-Lloyd, MSC e NCLH sono risultate tra le migliori compagnie che possono essere considerate Whale Safe .

INTANTO L’ONG «OCEANCARE» ha da poco presentato Save Moby, un progetto a cui sta lavorando insieme a un gruppo di scienziati europei. Delle boe high-tech rilevano i segnali dei cetacei e li inviano a un server centrale. Da qui, uno speciale software avvisa tutte le navi vicine in tempo utile per aggiustare la rotta e prevenire la collisione. Il progetto, di cui si sta sperimentando un prototipo, si concentra per ora sulle acque greche per evitare l’estinzione degli ultimi 200 capodogli rimasti nel Mediterraneo Orientale.

SECONDO L’ONG TETHYS però, oltre a convincere le compagnie e gli addetti ai lavori a modificare rotte e velocità, bisogna allargare la prospettiva al grande pubblico la cui sensibilizzazione potrebbe rappresentare la chiave di volta per un cambio di prospettiva. Insomma dovrebbero essere gli stessi vacanzieri a preferire viaggi più lenti ma fatti con la consapevolezza di aver rispettato gli abitanti del mare.